Cara Me, cara Claudia, di solito le lettere vengono scritte indirizzandole a terze persone, ad un qualcuno che non siamo noi, questa volta però chi scrive sta scrivendo a sé stessa, o meglio io sto scrivendo a me stessa; alla me allieva e alla me in veste da psicoterapeuta. Il cuore di questo lavoro è la sintesi di un processo, del mio processo, di evoluzione, di crescita, di maturità, non solo a livello professionale ma soprattutto umano, intimo, personale. E’ la sintesi non tanto di come dovrebbe essere uno psicoterapeuta, ma di come io sento di poter essere psicoterapeuta.
Ricordo di essermi cosi domandata quale fosse la mia priorità in quello che sarebbe diventato il lavoro della mia vita, immaginandomi con i panni di un ipotetico paziente, riflettendo su cosa mi avrebbe fatta sentire accolta anche su una sedia scomoda piuttosto che non compresa su una bella poltrona morbida. Da paziente avrei desiderato avere seduto davanti a me non tanto un Dottore con una valigetta piena di strumenti o con un bell’abito ma un Dottore dove il protagonista non fosse la sua valigetta o il suo abito. Avrei voluto una persona che nel guardarmi mi vedesse persona. Persona è come mi sono sentita quando per la prima volta ho messo piede nell’aula principale della Scuola Romana di Psicoterapia Familiare.