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Into the wild: Considerazioni di un viaggio nell’Esperienziale

MGMT: “Kids”

You were a child

Crawling on your knees toward it

Making momma so proud

But your voice is too loud.

Control yourself

Take only what you need from it

A family of trees wanting

To be haunted.

La canzone s’intitola Kids. Bambini. Così l’inizio prende forma. L’esperienza stessa ci mostra come parta sempre tutto da un essere piccoli, bambini, ed io a questa dimensione sono molto affezionata. Nasco come figlia più piccola nella mia famiglia d’origine e nasco più piccola per età cronologica come terapeuta in formazione del mio gruppo. Una coincidenza? San Pietro c’avrà messo lo zampino.

In questi quattro anni ci è stato ripetuto tante volte di come San Pietro ci metta lo zampino e anche di questo lungo questo elaborato voglio parlare. Qualcuno che ci manda degli eventi perché possano diventare delle occasioni. La crisi come opportunità. Solo quando tramite il tuo sguardo ne ammiri la doppia essenza, ti fidi dell’opportunità esperienziale che potrai incontrare, allora puoi tramutare il tuo percorso in processo. Proprio quando in una reazione chimica quella molecola sa che genererà qualcosa di trasformativo, questo stesso pensiero di sé già la rende trasformativa. Così per me ogni evento in questi quattro anni è stato significativo nella lettura di un funzionamento relazionale, di quello della mia famiglia, di quello lavorativo, di quello riguardante famiglie accorse presso il servizio della scuola, del gruppo, del mio, non come somma dei precedenti ma l’insieme relazionale dei vari contesti dove io sono in continua relazione (…).

Ecco se dovessi associarmi ad un aggettivo e descrivermi nell’intraprendere questa formazione userei la parola Entusiasmo. Entusiamo, enthusiasmos, formato da en (in) con theos (dio), si potrebbe tradurre, dice Wikipedia, con “con Dio dentro di sé” o “invasamento divino”.

Così a partire da questa parola, posso iniziare a raccontare la Me nell’incontro della Scuola Romana di Psicoterapia Familiare (…). Questa funzione mi piace immaginarla come un’investitura. L’investitura di una figlia, perché figlia di una dimensione infantile, dove regna la delega e la proiezione. Questa figlia si è conquistata nel corso degli anni un ruolo e una posizione che vuole mantenere, una specialità! Una specialità che individua non come una semplice possibilità, bensì nasce da un senso del dovere di salvare il prossimo, di procurare piacere e benessere, di soddisfare il bisogno dell’altro.

 “L’armatura, testimonianza del loro grado e nome, delle imprese compiute, della potenza e del valore.”

Il cavaliere inesistente di cui parla Calvino nel suo libro è un cavaliere pronto a combattere, che ha come sua unica vocazione e unico sentire quello che appartiene alla sua stessa investitura, a un ruolo. Il sentire delle emozioni, lo sconosciuto, l’informe, quel buio notturno che angoscia, il non-noto di istinti e pulsioni, non è contemplato. Essere brava e armoniosa, Capire e Sapere: un ALL IN, su cui puntare tutto, rinforzando l’appartenenza e la funzione della “gioia della casa”. L’immagine è quella di un’armatura-funzione che si associa nei diversi contesti. L’armatura si fa portavoce di forza per il raggiungimento della Verità, di una Verità Buona, Lucente, Assoluta, Gioiosa e Felice, e per la guerriera questa funzione, confermata dall’Altro sostiene e garantisce la sua efficacia e onnipotenza. Inseguirla è allo stesso tempo farsi portavoce dell’esistenza di questa Idea intorno alla quale tutti possono unirsi e rimanere uniti: felici, contenti, rassicurati, in eterno. Le relazioni e le funzioni rimangono invariate, i figli s’inventano strategie per rimanere figli, i genitori così possono rassicurarsi di rimanere genitori, la morte non ci tocca, separarci ancor meno. Questo il valore relazionale della mia arma Razionale. Quanto ingegno per una altissima 28 enne allieva terapeuta.

Così ho scoperto attraverso questo percorso di formazione come la terapia simbolica-esperienziale si basi proprio nell’aiutare le persone a sentirsi a proprio agio nella propria vita di pulsioni, di ombre, emozioni, di essere meno spaventate da questi istinti e darsi la possibilità di integrarli nella vita reale. “Quello degli impulsi non è un mondo che si possa evitare” e durante questa formazione ho scoperto di possederlo anche io quel mondo. Inizialmente molto spaventata, pian piano ho iniziato a farci amicizia, a fidarmi di ciò che sentivo tra luci e ombre e non solo del mio contenitore controllo, verità-armonia. Ho sperimentato che per essere terapeuta, viaggiare davvero insieme alle famiglie e avventurarmi nei loro territori apparentemente spaventosi, io stessa dovessi attraversarli. Avere a che fare con quelle parti di me, con sguardo curioso, riscoprirli come essenziali, funzionali e sorprendenti! I pazienti mi catapulteranno sulle loro cime tempestose, tra fulmini, saette, mostri terrificanti e io potrei rimanervi agganciata, nella loro stessa impotenza. Oppure confidare in quelle terre e in quei paesaggi, selvaggi, come una parte del tutto. Così “l’unico modo per incoraggiare onestamente la gente ad avventurarsi in tali territori spaventosi consiste nell’impiegare noi stessi”. Il terapeuta deve essere disposto a esporre parte delle proprie esperienze simboliche ed emotive per incoraggiare l’espressione esterna della vita interiore del paziente in maniera non distruttiva, per osservare il proprio mondo interno senza il timore che prenda il sopravvento. Utilizzare dunque il Sé del terapeuta come strumento di lavoro vuol dire anche muoversi tra il dentro e il fuori della terapia, appartenere per poi differenziarsi. Confidare nell’esperienza di quella esplorazione. Le tecniche usate prevedono l’utilizzo delle metafore, dell’emisfero destro, del sentire del terapeuta. Un gioco continuo e una sfida al godere di ciò che vien fuori, di ciò che si scopre e si svela man mano. Come dimensione per ribaltare il pensiero razionale e di controllo, integrandolo al sistema emotivo: un inedito tra il Sé del terapeuta e il paziente. Leggere le dinamiche relazionali in termini emotivi è importante per creare dinamicità e circolarità su più livelli, l’aumento della complessità e quindi delle informazioni che permettono una lettura diversa, l’introduzione di un’immagine nuova, stimolo di creatività e di gioco, trattando contenuti spaventosi come contenuti possibili da “toccare”. Così man mano il terapeuta potrà aiutare il paziente ad abbandonare una parte già a lui molto nota, quello sguardo sulle cose e quel copione che conosce a memoria, per acquisire grazie all’esperienza relazionale nuovi significati, una nuova capacità di recitare nell’ambito della quale la vecchia parte assumerà anche significati nuovi! (Saccu, 1983).

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