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I miti sono attuali e si ripetono nel tempo

260px Brogi Carlo 1850 1925 n. 8226 Certosa di Pavia Medaglione sullo zoccolo della facciataLa mitologia narra che Castore e Polluce erano due gemelli nati dalla stessa madre, ma da padri diversi; uno dei quali era immortale e l’altro mortale. Polluce era dunque immortale, mentre Castore, nato da un mortale era anch’esso mortale. Fu infatti ucciso in combattimento.

Polluce, dice il mito, rimasto solo visse quella perdita con un dolore così grande e insopportabile da chiedere a Zeus di poter lui stesso diventar mortale e poter così ricongiungersi all’amato fratello che dimorava ormai nell’Ade.

Zeus, dio di tutti gli dei, sapeva che la richiesta di Polluce non poteva essere esaudita perché non si poteva rendere mortale ciò che era immortale, ma sensibile della sofferenza, trasformò i due gemelli Castore e Polluce in due stelle perché potessero stare insieme vicini in eterno.

 

Le due stelle, ancora oggi risplendono nel firmamento in quella costellazione chiamata dei Gemelli.

Ma non tutte le storie dei gemelli nascono dall’amore. Spesso il bisogno di differenziarsi scatena odio che può giungere fino alla morte come avvenne tra Romolo e Remo al momento della nascita di Roma.

Spesso accade tutt’ora, che i gemelli più impegnati a fare i figli che i fratelli, nella lotta di essere più visti ed amati dai genitori, non riescono ad essere fratelli e questo può durare in un conflitto perenne tutta la vita. 

Di storie come questa ne esistono tante, io ne racconterò una che ha informato la pubblica opinione italiana per quasi mezzo secolo e che ancora continua.

La storia vede i due giovani aitanti e forti, capaci di ridefinire i destini politici di un partito che, uscito da un tunnel totalitario, si avviava ad un pensiero e ad una prassi democratica. (Uno si chiama Dalmo e l’altro Veltro) anche il nome del partito non era più lo stesso, e quello che era diventato padre non ebbe un destino felice perché la smisurata e precoce ambizione di potere dei due fratelli lo relegò in un cantuccio ormai inerte a guardare con un “occhietto” risentito e depresso.

L’uccisione del padre, avrebbe sentenziato Freud, quale dei due avrebbe perso lo scettro?

 L’uno il Dalmo e l’altro il Veltro, in questa storia non sarebbero mai potuti essere fratelli, spinti a primeggiare come figli e poi a combattersi in una lotta che ha dato vita alle due anime del partito.

Questa lotta fraticida coinvolge anche le nuove generazioni e sembra ormai rappresentare la maledizione che accompagna la sinistra in un’Italia incapace di vivere fratie condivise e ognuno avendo una visione del mondo che diventa utopico agli occhi dell’altro e che viene sbandierato con verità assoluta.

Ricordano quei genitori che separati rivendicano per tutta la vita, una pedagogia più giusta e veritiera, mentre i figli nel mezzo di questa lotta per amore e per il loro bene sguazzano apertamente nella e con la tattica di Cesare “dividet et impera”. La maledizione reggerà finchè nel tempo i due non avranno più ragione di esistere a meno che il virus non abbia attecchito anche nelle generazioni future.

La regola in questo sistema è puntuale.

Appena si conquista il potere che deve portare ad una stabilità, si muovono le forze omeostatiche atte a far riemergere le divisioni con la bandiera della verità che nasconde invidia, gelosia, ambizione e sete di potere personale.

Il motto è “lo specchietto delle allodole” dove ognuno si aggrappa ai padri storici per rivendicarne il verbo.

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