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Son venditore d’acqua perciò non mi spaventa il fuoco

FB IMG 1593188517982Sii paziente verso tutto ciò
che è irrisolto nel tuo cuore e
cerca di amare le domande, che sono simili a
stanze chiuse a chiave e a libri scritti
in una lingua straniera.
Non cercare ora le risposte che possono esserti date
poiché non saresti capace di convivere con esse.
E il punto è vivere ogni cosa. Vivere le domande ora.
Forse ti sarà dato, senza che tu te ne accorga,
di vivere fino al lontano
giorno in cui avrai la risposta.

Rainer Maria Rilke (da Lettera ad un giovane poeta)

Credo che “nubìvaga”, che vaga tra sogni e idee, sia l’aggettivo con il quale posso descrivere me stessa e il modo in cui ho vissuto questi quattro anni, durante i quali ho sentito la necessità di sperimentarmi attraverso differenti colori, forme, idee e sogni che, in continuo movimento, si sono sovrapposti, intrecciati e differenziati, nella mia costante ricerca, talvolta caotica, di trovare un loro significato e collocazione. 

Quando decisi di iscrivermi ad una scuola di psicoterapia, il mio interesse ricadeva sulla Scuola Romana e su un’altra di orientamento prevalentemente psicodinamico. Scelsi infine la Scuola Romana perché percepii la possibilità di fare esperienze uniche di creatività e libertà personale a differenza dell’altra Scuola, troppo strutturata per una persona come me già fortemente rigida. Ha giocato un ruolo fondamentale anche la mia pancia, strumento che poi dentro la Scuola avrei scoperto essere utilissimo, che mi ha spinto fin da subito a provare interesse e curiosità nei confronti del Professor Saccu, figura enigmatica e carismatica. Sono grata al Professore per quello che mi ha trasmesso e per avermi dato l’opportunità di lavorare con lui a stretto contatto. Non trascuro poi una serie di coincidenze che mi hanno legata al Professore, tra cui, forse la più curiosa, è la reciproca passione per i carlini che ancora oggi ci accomuna. Nonostante la sensazione di aver fatto la scelta giusta, non sapevo precisamente cosa sarei andata a fare, ma mi sono approcciata a questa nuova esperienza con tanto entusiasmo, motivazione e desiderio di imparare.

Parlare della mia esperienza e crescita formativa e personale avvenuta in questi quattro anni, non è per me semplice. Essa si è inevitabilmente intrecciata con alcune vicende personali che mi hanno colpita profondamente e che hanno inevitabilmente influenzato il mio percorso all’interno della Scuola.

Sento di essere cambiata tanto pur avendo mantenuto dentro di me aspetti che sento vicini oggi come allora; forse li ho conservati gelosamente o forse non smetteranno mai di far parte di me, ma ciò che è sicuramente cambiato è il mio modo di guadarli e di utilizzarli.

[…] Ora vivo il mio essere curiosa, tanto da pormi costantemente delle domande, cercare le risposte e accettare che in un dato momento possano non essercene o essercene alcune per me poco chiare. È un processo nel quale posso giocare con il mio pensiero e stupirmi di come nel tempo può cambiare e divenire, se allenato, sempre più complesso. Sento che questa tensione costruttiva, che mi spinge a non accontentarmi, a sapere e accettare di non sapere, l’ho scoperta dentro la Scuola Romana, grazie ai didatti, in particolare ha avuto un ruolo fondamentale in questo il Dott. Stefano Fantozzi. La sua presenza è stata per me come una secchiata d’acqua gelata gettata addosso per risvegliarmi da un sonno profondo. Questa secchiata di acqua gelida, per quanto fastidiosa e shoccante, mi ha permesso di spalancare gli occhi e prendere contatto con la realtà in un modo che prima non avevo mai fatto. L’importanza dell’utilizzo delle parole, la bellezza di saperle scegliere, imparare a chiamare le cose col proprio nome, rappresentano il primo gradino che ha iniziato a spingermi verso la necessità di incontrare la mia complessità sapendo, o almeno provando, ad utilizzarla.

L’altra secchiata d’acqua gelata mi viene da chiamarla “responsabilità”, intesa come capacità di prendersi la responsabilità delle proprie azioni, sempre e comunque, senza nascondersi dietro giustificazioni che sembra possano deprivarci del nostro libero arbitrio. Per me questo concetto è stato illuminante, non solo per il mio futuro da terapeuta ma anche a livello personale perché io credo che se ci si sente responsabili della propria vita e delle proprie azioni ci si sente liberi, liberi di scegliere per sé e di entrare ed uscire dalle relazioni. Personalmente, sentirmi responsabile della mia vita mi ha portato tanta leggerezza, una maggiore accettazione di quello che sono, soprattutto di aree che prima, nel mio vecchio processo di perfezionamento non potevo toccare e che avrei chiuso in un cassetto, buttando pure la chiave. Attualmente questi miei aspetti personali li guardo quasi con orgoglio, semplicemente perché sono miei, sono veri e il fatto di non volerli nascondere o negare mi fa sentire onesta con me stessa e con gli altri.

Nel tempo, all’interno della Scuola, ho anche imparato l’importanza di comprendere che i concetti possono essere giano bifronti, possono cioè racchiudere due significati opposti.

[…]

Il vuoto per esempio è giano bifronte, ha un duplice significato: non è infatti chiamato a rappresentare esclusivamente il disorientamento, il vuoto di senso e l’incertezza che può angosciare, ma assume anche una valenza positiva, identificandosi con lo spazio che si presta ad essere riempito, come luogo in cui costruire la propria identità e consapevolezza. Io ho vissuto proprio così gli spazi vuoti o poco chiari dentro di me che piano piano andavo ad incontrare nel corso di questi quattro anni: sono stati sia spazi che mettono paura, perché non sempre è stato facile capire come riempirli e accettare di rimanere nell’incertezza, ma anche spazi personali di crescita, nei quali poter rimanere anche in una condizione di mancanza di certezze; tale vissuto, come direbbe Bion (1970), consente di evitare di saturare e bloccare ciò che sta evolvendo con l’attribuzione troppo precoce di un significato.  

Credo inoltre che la Dott.ssa Elena Centrella mi abbia accompagnata, con il suo calore, la sua discreta e continua vicinanza, oltre che nella comprensione del modello sistemico e delle sue tecniche, in una personale esplorazione della dimensione intrapsichica che sento essere stata per me un’importante esperienza di conoscenza e maturazione personale; mi ha permesso infatti, tra le tante cose, di guardarmi, di guardare anche i miei fantasmi e le mie catene e accogliere quasi con tenerezza e maggiore tolleranza quelle parti di me che ho sempre disprezzato.

[…] la Dott.ssa Centrella mi ha poi mostrato di riuscire a cogliere  sempre in modo puntuale e sensibile qualcosa di me senza che io debba necessariamente raccontarla.

Imparare a “stare” è un altro tema su cui sento di essere cresciuta e di aver lavorato tanto in questi anni. Stare significa concentrarmi sul qui ed ora e chiedermi, se questo non accade, cosa mi sta succedendo in quel momento che non mi permette di rimanere nel presente. Tutti i didatti hanno costantemente accompagnato il gruppo di allievi in questo allenamento; ricordo in particolare un confronto tra me e le Dottoresse Adele Meirani e Paola Cabiddu, solo per un anno didatte, ma sempre figure preziose di riferimento per me e il mio gruppo. Dopo alcuni episodi di sconforto e impotenza in cui mi sembrava impossibile stare nel qui ed ora con la famiglia che seguivo in terapia, la loro supervisione mi ha aiutata a chiarire la mia posizione e ad interrogarmi sulla mia difficoltà e sfruttare questa esperienza per creare qualcosa di costruttivo. Effettivamente la difficoltà esperita è servita e gli incontri successivi con la famiglia si sono rivelati meno drammatici. L’allenamento a stare nel qui ed ora è continuato per me anche fuori dalla Scuola, sperimentando una forte sensazione di benessere nel riuscire a stare, senza andare indietro o avanti con i pensieri.

Questi quattro anni, tra l’utile e il dilettevole, sono stati come un viaggio meraviglioso che mi ha cambiato profondamente; è stato un percorso nel quale ho cercato di imparare qualcosa di cui contemporaneamente facevo esperienza, vivendo un caleidoscopio di pensieri ed emozioni tra fatica, crisi, dubbi, incontri e appartenenza.

Se ripenso al mio incontro con i didatti sento che ognuno di loro mi ha dato qualcosa di importante che sono sicura mi porterò dietro sempre. Pensando a ciascuno di loro mi viene in mente una frase di A. Einstein che a mio parere descrive perfettamente una piccola parte di ciò che mi è arrivato di loro in questi quattro anni: “L’insegnamento deve essere tale da far percepire ciò che viene offerto come un dono prezioso e non come un dovere imposto.”

Provo davvero un grande affetto e una forte gratitudine nei confronti di tutti loro.

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