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Lettera aperta a Franco Basaglia - XL Anniversario della Legge 180

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Caro Franco Basaglia,

Eri e sarai sempre un mito e come tutti i miti l'incontro della storia ufficiale e degli aneddoti che fanno parte del “non detto”, aiutano a umanizzare la persona.

La tua parte profondamente umana è ciò che più mi avvince e mi avvicina a te perché è stata il motore di tutte le tue scelte di vita e professionali.

Comincerei quindi da questo aspetto che è all'interno di una visione dell'uomo e del mondo che il filosofo Arne Naess avrebbe detto di una “ecologia profonda”, tesa al benessere delle persone e con un occhio attento al futuro perché le scelte non ricadano negativamente sulle generazioni future.

La mia conoscenza di te è indiretta perché mai abbiamo parlato o scambiato opinioni.

L'incontro è stato promosso dall'entusiasmo degli specializzandi di Neuropsichiatria Infantile dell'Università di Roma che mordevano il freno dinanzi ad una formazione che veniva prevalentemente indirizzata ad una lettura psicodinamica dei sintomi.

 

Questo approccio a dire il vero era innovativo all'interno di un istituto che affondava le sue radici nel biologico e dove con Bini e Bazzi era nato l'elettroshock.

Promotore di questo nuovo approccio era stato il Direttore Professor Giovanni Bollea che nel dopoguerra in Francia aveva frequentato Diactine e Lebovici, pedo-psichiatri, psicoanalisti.

L'epoca a cui io mi riferisco ora e nella quale mi sono formato come neuropsichiatra infantile va dagli anni 1964 agli anni 1971-72. Successivamente fino al 1978 ho attuato la formazione nell’ottica sistemico relazionale ed effettuato l’analisi personale didattica presso l’Istituto Romano di Psicoanalisi.

L’anno 1978 è anche l’anno della legge 180 che possiamo definire rivoluzionaria.

Nella mia mente infatti sei un rivoluzionario, il Che Guevara della psichiatria sociale che affonda le sue radici in quella visione ideologica e politica che ha informato pensiero ed azione di una folta schiera di operatori sociali.

Come Keplero aveva sconvolto la visione tolemaica, con il sole al centro del sistema planetario così, anche la visione della “deistituzionalizzazione” per i pazienti psichiatrici, contrastava radicalmente l'ideologia e la prassi terapeutica dominante e “scientifica” della istituzionalizzazione che aveva orientato i tecnici ad un lavoro prevalente in strutture chiuse che all'epoca del tuo intervento, avevano raggiunto dimensioni elefantiache.

All'epoca le linee ideologiche e politiche rispondevano alle esigenze prioritarie di protezione della comunità, tutto ciò che si discostava dalla normalità veniva percepito come pericoloso da contenere in strutture chiuse con finalità riabilitative e curative.

Gli psichiatri indirizzavano le cure e decidevano i tempi del reinserimento nella società ma il più delle volte si configuravano in quadri di cronicità, in quelle strutture che si autoalimentavano a dismisura.

“I tentativi di soluzionare il problema diventava il problema”.

All'epoca in Italia l'aspetto conservativo era appannaggio prevalente della destra, mentre nella sinistra vi erano le spinte innovative volte al cambiamento.

In tutto il mondo nell’anno 1968, si respirava un'aria nuova sostenuta anche dai filosofi come Marcuse accolto e incensato dalle nuove generazioni.

In quegli anni erano nel mondo nate dittature in Argentina, Cile, Grecia ed eventi sconvolgenti come la guerra nel Vietnam e l'avvento in Cambogia di Pol Pot che aveva sconvolto e mosse le coscienze in più parti del mondo e non ultima l'Italia.

La tua rivoluzione culturale e professionale trovò le sue radici in una dimensione nuova di vivere e relazionarsi ai pazienti. “Il paziente è una persona e non un numero”.

“Il paziente è una persona e non la malattia”.

In Italia dunque stava nascendo e risvegliando una coscienza politica che coinvolgeva i giovani con ideali comunitari di solidarietà e partecipazione collettiva che si diffondeva a livello di movimenti civili, sindacali e movimenti femministici.

Un'anima che avanzava e univa verso il nuovo ma che  spesso era cieca a tollerare le differenze che venivano poco riconosciute e spesso viste come pericolose.

La “verità” ideologica, sbandierata come i famosi libretti di Mao, portava spesso a condotte integraliste.

Le prime avvisaglie erano emerse all'università vista come antiquata e detentrice di un potere conservatore e discriminante. Ecco dunque perpetuarsi gli eccessi vissuti in quell'epoca, dove gruppi di giovani universitari cercavano di imporre ai professori negli esami il 27 politico incuranti del sapere e della competenza. Non i contenuti erano importanti nelle diverse discipline ma la fede politica nella “verità” sociale. Il nemico numero uno era il capitalismo responsabile di una prassi discriminante per colui che non era in grado di essere produttivo. Questa visione ideologica e politica condivisa a più livelli, spostava l'asse da destra a sinistra prendendo sempre più spazio fino alla conquista del potere. Il periodo del 1968 ha visto a più livelli il risvegliarsi di entusiasmi e di idee nuove con la percezione che tutto ciò che veniva pensato e progettato potesse avere facile e soprattutto immediata realizzazione. L'università vista come una struttura vecchia, decrepita, antistorica e conservatrice venne abbandonata da molti miei colleghi verso strutture pubbliche più consone ai nuovi ideali e una parte si riversò nella facoltà di Psicologia che stava nascendo. Si confrontavano due maniere di vedere: una radicale con abolizione o ridimensionamento del vecchio, l'altra con il concetto che una struttura può anche modificarsi lavorando all'interno.

Io seguivo questa seconda modalità contribuendo nel mio piccolo a ridefinire lo stereotipo di incontro e il significato relazionale del sintomo, sviluppando all'interno dell'Istituto di Neuropsichiatria Infantile il servizio di Terapia Familiare che era un'alternativa concreta ai ricoveri.

L'idea della rivoluzione tutto e subito verrà poi messa in atto da movimenti integralisti che non ebbero all'epoca come sperato il sostegno della classe operaia nonostante si attuassero strategie persuasive all'esterno delle fabbriche negli intenti di una mobilitazione generale. Tra le modalità attuate vi fu quello della lotta armata. L'estremizzazione di questa strategia vista in chiave sistemica, fu di attivare forti cariche difensive nel sistema stesso con retroazioni omeostatiche ma anche con spinte ristrutturanti.

La teoria degli opposti estremismi si rivelò in seguito come una strategia a ben altri livelli mondiali tesa a convogliare "la maggioranza silenziosa verso il centro.

Nel contesto italiano si è avuta una mobilitazione di strutture vecchie con una ristrutturazione che ha portato a riformulare è riorganizzare magistratura, Polizia, Carabinieri, Corpo Carcerario e Guardia di Finanza dotati ora di mezzi e menti più moderne ed efficienti sul piano operativo.

Raggiunto il punto di maggior “disequilibrio”, avrebbe detto Prigogin il sistema si è organizzato in un cambiamento nuovo di idee e organizzazioni ma conforme alla volontà strategica che era strutturata ad altri e alti livelli.

Nel campo della sanità la legge Basaglia ormai affermata nel 1978 cominciò a dare i suoi frutti e vide nel tempo la chiusura di tutti gli ospedali psichiatrici in Italia.

La realizzazione di strutture e modalità di intervento nel territorio si diffuse in tutto il paese. Ci furono naturalmente anche errori ed eccessi ma non certo tali da arrestare lo spirito e la creazione del nuovo. In alcune realtà come quella romana si andò verso la decentralizzazione e la creazione conseguente di tante realtà assistenziali, ciascuna con direttori, assistenti, stanze, scrivanie e stipendi da produrre effetti negativi sebbene sul piano operativo si potevano toccare la crescita e la maggiore complessità degli interventi.

In altre situazioni progressivamente lo strutturarsi di posizioni politiche che dettavano leggi soprattutto per logiche di potere delusero molti degli operatori che avevano partecipato con entusiasmo al cambiamento.

Un mio collega che era partito per le regioni "rosse" a distanza di anni mi parlo' della sua sofferenza nel vedere le organizzazioni politiche dare le direttive e fare le scelte non più in ragione dei contenuti e delle competenze.

La logica del potere, dove tutto si ammanta di rivoluzione, ricompare a più livelli per rendere stabile ciò che è definito nuovo. Nonostante tutto, la crescita culturale e di competenza degli operatori a più livelli ha portato a nuove e qualificanti definizioni dei modelli passati, credere fermamente che il pensiero sistemico e l'ottica sistemica sia una forma di pensare e non una tecnica, ha permesso che in tutta Europa si sviluppasse una attitudine a lavorare con le famiglie e con le istituzioni in una prospettiva di rete.

Questo fa di te, caro Franco un pensatore sistemico.

Credo che la linea vincente sia stata quella portata avanti da molti operatori sanitari che nella condivisione della tua riformulazione ideologica non hanno mai desistito dall'idea di considerare la Psicoterapia una ricchezza e non una distorsione.

Io Deutero, pensavo che mai Napoleone avrebbe potuto essere quel che è stato se non fosse vissuto in un’epoca in cui la rivoluzione francese aveva dettato la linea del nuovo, passando per crisi istituzionali e sociali profonde.

Pensare in chiave rivoluzionaria significa essere consapevolmente o inconsapevolmente sistemici e tu Franco eri un pensatore sistemico.

In quel momento storico con un’ideologia marxista con il capitalismo nemico da abbattere sia sul piano politico che sul piano professionale, iniziasti portando avanti con successo le tue idee rivoluzionarie.

A te si unirono pensatori che condividevano lo spirito nuovo.

In tutta Italia da Reggio Emilia con Jervis, a Torino con Pirella, a Napoli con Sergio Piro e tanti altri nelle diverse regioni, prese vita quel movimento detto “psichiatria democratica”.

Gli Stati Uniti d'America personificano il capitalismo ma è anche una fucina di idee nuove.

Dentro una visione democratica a ciascuno è dato di esprimere idee e di attuarle nei diversi contesti.

L'idea della inutilità del ricovero era già stata formulata e sperimentata in micro contesti in America.

Nel 1974 durante il mio primo viaggio negli Stati Uniti non era infrequente incontrare a New York persone che avevano vissuto in ospedali psichiatrici e che ora girovagando per la città, anche con stranezze, ricordavano coloro che nel Medioevo, assenti strutture contenitive, si muovevano tra la gente abituata alla loro presenza ma quello che in quel momento succedeva era che l'Italia, a differenza degli Stati Uniti poteva contare su un contesto allargato con un livello alto di condivisioni tutte finalizzate ad uno stesso obiettivo: un cambiamento realmente democratico della società.

Eri dunque sistemico, anche se la parola sistemico in realtà non ti piaceva perché veniva da quel mondo capitalistico che vuole sempre vedere confermati i suoi assunti ideologici.

La diffidenza faceva parte del tuo essere anche in ragione di esperienze precedenti che avevano messo in evidenza grandi distorsioni nell'utilizzo di tecniche e strumenti.

Dall'America erano infatti giunte quelle prassi che vedevano la somministrazione di test psicologici utilizzati scorrettamente per discriminare i neri dai bianchi cercando di evidenziare come i risultati indicassero una superiorità dei bianchi sui neri a livello intellettivo.

I test erano approdati anche in Italia e all'interno di una nuova configurazione sanitaria nei “centri medico-psico-pedagogici”, erano stati applicati nelle scuole per orientare i ragazzi verso le classi normali, le classi differenziali e le classi speciali dalle elementari alle medie.

Io stesso come neuropsichiatra infantile avevo con lo psicologo e un assistente sociale partecipato a queste selezioni, finché, non maturò una convinzione di quanto l'uso di questi strumenti fosse conforme ad una linea psicologica e politica tesa alla discriminazione.

Le riflessioni e i dibattiti su questo livello esperienziale portarono ad una ribellione tanto che la prassi venne mandata nel dimenticatoio.

Fu una prima vittoria che in me rafforzò la coscienza di come i tecnici spesso vengono formati per essere coerenti ad una linea politica che rimane spesso celata perché in nome della scientificità, realizza i suoi intenti.

Questo spirito nuovo lo ritrovavo giornalmente nel contatto con questi specializzandi che si ribellavano ad una proposta formativa istituzionale vissuta come riduttiva per poter operare all'interno di istituzioni residenziali.

Tutto era all'epoca volto alla istituzionalizzazione: Istituti per bambini autistici e psicotici, Istituti per bambini con ritardo mentale, Istituti per bambini con disturbi della condotta.

Negli ospedali psichiatrici vi erano speciali padiglioni, come l’ VIII padiglione a Roma, divenuto famoso come un piccolo lager a Santa Maria della Pietà, che sconvolse le coscienze e provocò turbamenti in tutta l’opinione pubblica.

Seguirò dunque in parallelo lo sviluppo della tua visione innovativa nel contesto italiano e la mia evoluzione.

La tua è una mente che pensa in una visione gestaltica all'interno di una visione ecologica profonda.

Sei dotato di un pensiero sistemico dove il tutto non corrisponde alla somma delle parti.

Il pensiero sistemico ha una sua storia che ha visto in America, a New York nel 1946 riunirsi scienziati di diverse discipline codificarla in quella definizione rivoluzionaria di causalità circolare.

Bateson che vi partecipava ebbe un ruolo importante per una nuova maniera di vedere le problematiche psicologiche all'interno dei sistemi significativi di relazioni.

Nel gruppo di studio promosso da Bateson, era emerso il “doppio legame” come modalità ricorrente nelle famiglie a transazione psicotica in cui si riaffermava il concetto di feedback e di causalità circolare.

Ma tu procedevi non concettualizzando le modalità con cui il tuo pensiero operava ma elaborando tuttavia un disegno strategico che ridefiniva l'intero assetto della Psichiatria in Italia.

A Palo Alto nasce una modalità nuova di lavoro col sistema famiglia proposto da Watzlawick

 e Jackson che portarono alla pubblicazione del libro “Pragmatica della comunicazione umana”.

Questa modalità di intervento in Italia venne introdotta dal gruppo Milanese: 

Mara Palazzoli Selvini, Luigi Boscolo, Gianfranco Cecchin e Pina Prota e successivamente a Roma dal gruppo che faceva riferimento a Luigi Cancrini e Maurizio Andolfi e collaboratori.

Intorno agli anni ‘70 la venuta a Roma della Selvini presso l'Istituto di Neuropsichiatria Infantile aveva suscitato un primo interesse in me che si è consolidato con la conoscenza di Maurizio Andolfi allora specializzando in Neuropsichiatria Infantile.

Con lui feci la mia prima esperienza di Terapia Familiare e la venuta di Watzlawick a Roma nel 1972 segnò la svolta definitive. Finiva l'epoca delle belle relazioni con una lettura Psicodinamica dei meccanismi di difesa ma che non modificava la prescrizione di “dieci gocce di Valium al mattino e dieci la sera”, soluzione a dire il vero molto frustrante.

Nell'abbracciare il pensiero sistemico e le modalità di questo intervento terapeutico avevo quasi l'impressione di un intervento miracoloso. Iniziai la formazione con Luigi Cancrini negli anni ’73 presso il Centro di Terapia Relazionale.

Era quindi a quell'epoca viva la sensazione di trovarsi in un incrocio dove convergevano tre linee epistemiche. Quella Psicodinamica, quella Sistemica e quella della Psichiatria Sociale.

Anche a te, caro Franco era capitato di essere un pensatore sistemico che non poteva però riconoscersi nella parola “sistemico” e in una prassi che, importata dagli Stati Uniti d'America era alla tua vista intrisa di capitalismo e quindi portatrice di una visione ideologica che tu combattevi con tutte le forze e con te tutto il gruppo di psichiatria democratica.

Se stessimo colloquiando cercherei in tutti i modi di esporti le ragioni che mi hanno portano a pensare che tu avevi un pensiero sistemico.

Se il tuo lavoro ti portava a verificare giornalmente l'inutilità di un metodo focalizzato sulla centralizzazione dell'istituzione psichiatrica, il primo obiettivo diventava quindi coinvolgere quante più persone vivevano questa esperienza, facendo emergere l'impotenza la frustrazione come gli aspetti principali di confronto tesi a trovare condotte alternative.

Le assemblee all'interno della struttura psichiatrica promosse all’epoca, vedevano coinvolti “malati”, infermieri, portantini, personale ausiliario, medici psichiatri e psicologi e comuni cittadini del quartiere.

Vivere quest'esperienza assembleare era già parte della tecnica e della teoria della tecnica nuova che si andava definendo e strutturando.

Prima ridefinizione importante e fondamentale il paziente è una persona e come persona ha diritto al riconoscimento e al rispetto e fin dall'ingresso, ad una nuova modalità di approccio e di accoglienza “Io sono una persona tu sei una persona”. L'incontro non avvenne più nella sala dei medici con la presenza eventualmente protettrice degli infermieri ma nella sala d'aspetto e non più il camice che definisce la differenza di ruoli in maniera che tu paziente possa percepire come è cambiata la mia maniera di accoglierti e di vederti.

Che fare poi del ricovero? Ricoverare diventa incrementare la linea che conferma quanto il meccanismo sia al servizio di quella ideologia che trova la sua ragion d'essere e le sue radici nel capitalismo. È come se il tecnico, operando attraverso il ricovero diventasse complice nel perpetuare quel sistema.

Questa prassi divenne comune tra tutti coloro che seguivano il tuo nuovo percorso lasciando ai vecchi Psichiatri e a coloro che si muovevano nel vecchio modello di affrontare il paziente in particolare quando si imponeva un ricovero. In quell’epoca coloro a cui venne rifiutato il ricovero se avevano sufficenti mezzi potevano usufruire delle case di cura private altri compiendo atti aggressivi in presenza anche di autorità di Polizia chiamate all’uopo finivano nei manicomi giudiziari che videro incrementata la popolazione.

Continuo ad ammirare e riconoscere la tua mente con un pensiero sistemico perché è solo in questo modo, ampliando il contesto esperienziale e definendo il sistema più ampio in cui operare è stato possibile introdurre regole nuove che hanno avuto la forza di creare nel sistema stesso tensione e confusione, componenti necessarie per qualsiasi cambiamento.

La regola introdotta era semplice e di sicura efficacia se proposta da un ruolo dove non è ammessa la manipolazione.

La regola prevedeva che se un paziente fosse stato ricoverato in un ospedale psichiatrico e dopo la dimissione avesse avuto necessità di rientrarvi per una crisi incipiente, poteva nuovamente essere accolto perchè con l'istituzione aveva già una storia.

Per coloro invece, che per la prima volta presentavano sintomi leggibili come disturbi psichiatrici, l'unico punto di prima accoglienza e di possibile ricovero diventava l'ospedale generale. Il medico psichiatra che disattendeva la norma era soggetto a sanzioni disciplinari. L'attuazione di questa regola apriva possibilità alternative al ricovero in ospedali psichiatrici e progressivamente vedeva ridurre il numero dei pazienti ricoverati lasciando spazio prevalentemente a coloro che erano ormai definiti cronici. Questi avrebbero potuto essere ospitati e assistiti fino alla fine dei loro giorni.

Lo spopolamento degli ospedali psichiatrici ebbe inizio dal momento della promulgazione della Legge 180 nel 1978 e ha portato progressivamente alla chiusura e trasformazione delle strutture psichiatriche in nuove realtà operative.

Personalmente sono stato presente nel 1998 alla chiusura, a Cagliari, dell'ultimo ospedale psichiatrico avvenuto vent'anni dopo.

Sull’ elefantiaca espansione degli ospedali psichiatrici aveva influito la convinzione di operare in maniera scientificamente corretta ma che tuttavia dava senso ad un esigenza di natura più ideologica centrata sulla protezione del mondo dei “sani”.

Ma se avessimo avuto la possibilità di operare riconoscendo le differenze, avremmo anche all'epoca scoperto che molti dei ricoverati negli ospedali psichiatrici non erano propriamente dei malati psichiatrici ma dei vecchi o anziani che, mancando di strutture istituzionali adeguate pertinenti come ospedali geriatrici, finivano per essere accolti all'interno di ospedali psichiatrici dando senso di malattia mentale a condotte che erano di altra natura.

Questa distinzione all'epoca non venne evidenziata perché avrebbe comportato l'edificazione in quasi tutte le regioni d'Italia di strutture idonee per anziani.

Possiamo dire che questa massificazione avviene quando si vuole che un’idea giunga al suo compimento anche a costo di sacrificare aspetti non condivisibili.

Più spazio prenderebbe invece il tema delle carenze nel modello che può far insorgere delle distorsioni, mi riferisco al principio di contraddizione e alla prassi conseguente quando si vuole rispettare la coerenza.

Focalizziamo il momento del ricovero, “non voglio essere complice di un sistema che predetermina con il ricovero il destino dei pazienti”.

La coerenza vuole che il ricovero venga rifiutato. 

La conseguenza di questa presa di posizione “coerente” alle premesse erano evidenti ma non sufficientemente rilevate e analizzate perché spesso l'aspetto messianico prevale e

l’ideologia diventa fede.

Avrei, Caro Franco, provato a dare una lettura più approfondita e complessa che all'epoca non ha avuto spazio di ascolto e di riflessione. 

Avrei fatto riferimenti a quanto Bertrand Russell ha scritto in merito agli “errori logici”. Un errore logico si compie quando si crea confusione tra membri di classi differenti. Esempio mele e arance appartengono alla classe della frutta.

Le mele però appartengono alla classe delle mele e le arance alla classe delle arance. Se una mela o una arancia vengono messe in una classe invertendo l'ordine si crea un “errore logico”. 

Noi operatori sociali nasciamo e abbiamo ragione di esistere per dare senso alla “sofferenza” ma contemporaneamente ad un altro livello possiamo condividere ideologie che fanno di noi dei soggetti politici. 

Ma cosa avviene quando si confondono il livello della ideologia classe delle (ideologie) con il livello delle risposte alla sofferenza classe della sofferenza?

Questo aspetto non ebbe all'epoca sufficiente attenzione perché gli aspetti emotivi stimolavano l'appartenenza alle ideologie con difficoltà a leggere e individuare le differenze rendendo quindi i seguaci dei gregari.

Ritornerò più avanti raccontando esperienze personali perché volevo prima raccontare un aneddoto per me molto significativo.

Era novembre dell'anno 1974, Maurizio Andolfi era tornato in Italia dopo due anni passati in America a vivere esperienze molto innovative sulla Psicoterapia Familiare.

Con il gruppo di specializzandi di Neuropsichiatria Nnfantile che in questi due anni avevo seguito creammo un centro privato fuori dall’Universtà.

Una sera di novembre davanti ad un agnellino da me cotto alla sarda, Maurizio si incontrò con un terapista familiare di origine marocchina naturalizzato in Belgio con cui aveva condiviso l'esperienza formativa con Salvator Minuchin nello stesso periodo. Il personaggio si chiama Mony Elkaim. Ricordo che vicino a Piazza Navona condivisero ricordi e formularono proposte e programmi per il futuro. Nacque l'idea di un convegno da svolgersi a Bruxelles per diffondere in Europa la Terapia Familiare in un'ottica sistemica. Il congresso si svolse nel gennaio del 1975 a Bruxelles in un quartiere denominato la Jerbe che marcava il limite tra un quartiere operaio e di sottoproletariato e un quartiere borghese. Noi del nostro gruppo, ormai consolidato nella scuola di Via Reno e all'Università nell’ Istituto di Neuropsichiatria Infantile, partimmo numerosi con un'aspettativa che risultò delusa in quanto al convegno il tema dominante non era più la Terapia Familiare. Rimanemmo tutto il tempo confinati attuando due piccoli workshop marginali. La scena dominante vedeva centralizzati i personaggi che avevano dato vita in Italia a Psichiatria democratica. L'anima del convegno vedeva coinvolti operatori sociali di tutta l'Europa francofona.

Il convegno fù un successo con altre duemila presenze. Il tema aveva riguardato la costituzione di una Psichiatria democratica europea. Deluso sulle aspettative, il nostro gruppetto incontrò sull'aereo tutto lo Stato maggiore di Psichiatria democratica. E’ lì che ti ho incontrato per la prima volta ma non ci conoscevamo e non ci siamo conosciuti.

Il gruppo festeggiava due avvenimenti uno legato al successo del convegno e l'altro festeggiavano la deposizione in Portogallo del presidente fascista succeduto a Salazar ad opera dei militari che avevano dato vita alla rivoluzione dei garofani. Questo orientamento a sinistra dell'Europa piaceva anche a noi ma ancora non sapevamo come i membri di Psichiatria democratica procedevano con quella spinta di “verità” che contraddistingue i movimenti che in nome proprio di questa verità attuano comportamenti fideistici e limitativi della libertà degli altri. Se anche in quel periodo avessimo avuto un incontro, dubito che avremmo avuto ascolto perché oramai l'incedere era diventato messianico.

Che io condividessi l'idea di una Psichiatria sociale non aveva molta importanza. Aveva più merito la militanza.

A Roma nel nostro gruppo si erano aggiunti due psicologi e avevamo creato una società che come obiettivo aveva la conoscenza, l'applicazione, la diffusione della Terapia Familiare nella comunità in un'Ottica sistemico relazionale.

Il percorso informativo e successivamente formativo privilegiava gli operatori delle strutture pubbliche. 

Facemmo all'epoca dei seminari a Roma, a Frosinone, a L’ Aquila e financo a Bolzano. 

Ti racconto questo perché vivevamo in un “paradosso”: condividere il pensiero basagliano e della psichiatria sociale e allo stesso tempo essere visti come eretici perché portatori di una tecnica basata sul pensiero sistemico nato ed esportato dall'America capitalista e centrato sulla Terapia Familiare.

L'esperienza anche se in forma ridotta non era differente da quella proposta e vissuta in Cina dai seguaci di Mao con i famosi libretti Rossi e i dazibao. Credo che l'emozione negativa fu così grande da non ricordare nemmeno ora un nome di quelli che facevano parte del direttivo romano di psichiatria democratica. Con il potere alimentato dalla credenza nella verità i rappresentanti di Psichiatria democratica si presentavano con un tazebao che veniva dispiegato e letto davanti a tutti i presenti ai seminari o convegni dove il verbo veniva ribadito con forza, disgusto e a volte misto a minacce per coloro che avrebbero potuto dissentire o scostarsi dai “puri”. Questa modalità durò diversi anni. Avvisaglie di questo comportamento si erano avute quando nel maggio del 1974 invitato da Luigi Cancrini era per la prima volta venuto a Roma Salvatore Minuchin, un padre fondatore della Terapia Tamiliare in America.

Un gruppo di infermieri “politicizzati” aveva chiesto prima che Minuchin parlasse le “garanzie” sul suo operato e sul suo credo politico. La risposta di Minuchin li aveva acquietati perché era pronto a prendere la sua borsa e andarsene togliendo il disturbo. 

Nel luglio poi del 1975 facemmo il primo congresso “La terapia familiare nella comunità” in Europa con tutto il gruppo dell’ Ackerman Institute di New York, (Don Bloch, Peggy Papp, Kytty Laperier e Olga Silvestein) e con il delfino di Minuchin, Harry Aponte che portò il “modello strutturale”.

Questo congresso fù importante perché diede l'avvio alla richiesta di formazione in Terapia Familiare presso il nostro Istituto a Via Reno da molte parti d'Italia.

L'arroganza del potere di cui si investe fideisticamente colui che abbraccia una fede trasformandosi in soldato o militante è diffuso in tutto il mondo e ai tempi nostri è configurato nel l'ISIS. L'episodio che più ricordo con fastidio avvenne proprio l'anno in cui venne approvata la Legge 180.

Eravamo all'epoca lanciati come gruppo non solo in Italia ma in tutta Europa e il momento cruciale fù il convegno di Firenze nel 1978 dove per la prima volta si incontravano i pionieri della Terapia Familiare degli Stati Uniti con i maestri cresciuti in Italia nella scuola di Milano e di Roma in un contesto diffuso e di rinnovamento sociale.

Nella prestigiosa sede di Poggio Imperiale erano convenute da tutta Europa coloro che erano interessati alla terapia familiare. La scelta del posto era spettacolare con la sua “limonaia” e stanze e sale ricche di affreschi e di mobili preziosi sede prestigiosa in un recente passato, della scuola delle principesse reali dei Savoia. La sede era prestigiosa ma le minacce di psichiatria democratica rendevano reale il pericolo di “interventi maoisti”.Dovemmo fare un'assicurazione stratosferica per i tre giorni del convegno e fù necessario la mediazione di un nostro allievo psichiatra dell’ospedale psichiatrico iscritto anche a Psichiatria democratica, Rodolfo de Bernart che, concordò “con loro” la distribuzione all'ingresso di volantini in cui venivano ribadite le linee guida della verità.

A Bruxelles la Terapia Familiare ufficialmente ebbe spazio dieci anni dopo in un periodo che aveva visto Cooper, Lange e Guattari come protagonisti indiscussi.

Al convegno di Bruxelles nel 1975 seguì il convegno di Parigi nel 1977 sempre promossi da Psichiatria democratica si passò poi a Bologna e credo l'ultimo a Trento. Le fronde radicali avevano ormai un linguaggio esasperato ed estremista e qualcuno passò anche alla lotta armata.

Poi con la tua morte, Psichiatria democratica perse progressivamente potere e notorietà. La legge era ormai passata, bisognava gestire il quotidiano. In un'ottica sistemico-relazionale sì continuò a lavorare. Esistono tante storie legate alle esperienze di quegli anni, io racconterò la mia che si colora di aneddoti.

Siamo agli inizi degli anni 80. Le idee rivoluzionarie portavano a catena cambiamenti in tanti settori. Le tue idee hanno avuto ascolto nel settore scolastico e anche nel settore organizzativo e pedagogico del Ministero di Grazia e Giustizia. Nel settore scolastico fu disposta la presenza di due bambini non più istituzionalizzati che presentavano problematiche di natura cognitiva comportamentale, questa fu una rivoluzione che vide il coinvolgimento e il conflitto tra insegnanti e tra gruppi di genitori. Nel settore della giustizia l’attitudine protettiva all’infanzia gestita nei riformatori o case di rieducazione vennero sottratte agli agenti di custodia a favore di educatori e personale formato in contesti universitari e legati alle strutture amministrative dei Comuni e non più del Ministero. Nel settore psichiatrico la norma che regolava l'ingresso nell'ospedale psichiatrico provocò all'epoca tensione e confusione. La norma era passata ma nella realtà quotidiana era necessario che le strutture ospedaliere fossero in grado di comprendere e contenere. Occorre, quando si attuano cambiamenti significativi, prevedere le risposte omeostatiche come le avrebbero chiamate i sistemici che sono meccanismi attivi nel sistema per neutralizzare il nuovo e riproporre lo “status quo”.

L'ospedale generale era diventato ora il primo punto di riferimento del disagio espresso attraverso modalità sintomatiche che rendono imprevedibile i comportamenti.

All'inizio ci fù un totale disorientamento a più livelli. Il valore di una struttura è legato alla capacità di contenimento ma che doveva necessariamente essere diversa da quella operata negli ospedali psichiatrici. Ma le modalità alternative non erano state né descritte né esperite. Era necessario inventarle. Inizialmente la mancanza di modalità contenitive facevano emergere aspetti imprevedibili che inducevano timore e in alcuni casi terrore. Pazienti in agitazione psicomotoria o con crisi psicotiche deliranti o con sindromi oppositorie potevano aggirarsi per i corridoi dei reparti che mai avevano visto o ospitato persone con disturbi psichici.

In reparti chirurgici con persone intubate l'irruzione di questi personaggi “strani” imprevedibili e a volte pericolosi aveva gettato il panico tra i medici infermieri e personale ausiliario.

Nel tempo era necessario trovare risorse e modalità nuove di rapporto e i cambiamenti furono a più livelli: uno sicuramente cognitivo, l'altro emotivo teso a trovare possibilità alternative attraverso l'”ascolto” e il “dialogo”.

Si cominciò a fare una distinzione tra l'evento crisi che soggiace alla modalità sintomatica da quella che è la risposta alla crisi che implicava spesso interventi di organismi volti al controllo e alla protezione dei cittadini. Vedi polizia carabinieri vigili del fuoco.

Il sistema ospedaliero si andava riorganizzando con risposte più contenitive e costruttive. Occorreva un altro linguaggio che non fosse solo quello dell'uso della “comunella” per aprire e chiudere le porte. La scoperta del potere della parola e di logiche che nella relazione diventavano strutture di contenimento ebbe inizio grazie alla capacità di ascolto dei nuovi operatori. In questa fase divenne molto importante e significativo l'utilizzo delle risorse familiari e quindi una formazione sistemico-relazionale divenne quasi una necessità per i nuovi operatori. Il lavoro era tutto da inventare.

Non vi erano testi che indicassero quando e come agire e come muoversi nel nuovo contesto

Era anche l'epoca in cui l'Università sfornava gli psicologi a cui nessuno aveva permesso di fare esperienze sul campo.

Assunti con una paga inferiore non venivano chiamati psicologi ma “animatori”. Grazie al loro lavoro con con un supervisore adeguato e una formazione orientata in chiave sistemica si avevano risposte che scongiuravano sempre più il ritorno alle vecchie strutture psichiatriche. Anche gli infermieri, operativamente presenti nella comunità usciti dalle strutture psichiatriche, impararono a “parlare” con i pazienti e a scoprire nella relazione potenzialità terapeutiche.

All'epoca le competenze in un'ottica sistemico-relazionale potevano essere trasmessi a tutti gli operatori, psichiatri psicologi, assistenti sociali, infermieri ed educatori. L'ottica sistemica è una forma di pensare si diceva.

Il concetto di operatore unico nella visione basagliana o dei basagliani di psichiatria democratica che faceva scomparire le differenze e orientava più alle risorse sociali come l’ergoterapia in strutture comunitarie perse di vigore.

Si andarono invece più affermando prassi operative con una visione sistemico relazionale e con interventi con le famiglie attraverso anche la teoria delle emozioni espresse.

Forse caro Franco non hai avuto modo e tempo di occuparti e approfondire le nuove scoperte nel campo del pensiero sistemico, forse la tua indole intuitiva ti dava la forza dell'ottimismo che è mancato a molti dei tuoi discepoli e seguaci che dopo lo slancio iniziale hanno perso la carica che era stata utile è indispensabile nel proporre il cambiamento.

In quell'epoca degli anni ‘70 uno scienziato, poi insignito del premio Nobel, fece una ridefinizione nella visione teorica dei sistemi: il suo nome è Prigogin. Russo di nascita, naturalizzato in Belgio egli parlò dei sistemi come strutture dissipative. Non solo dunque omeostasi e trasformazione ma come un livello di disequilibrio può dar luogo ai cambiamenti su nuovi livelli di organizzazione.

Credo che il sistema psichiatrico in Italia raggiunse all'epoca un livello altissimo di disequilibrio ma credo anche che dopo quello stadio siano poi scaturite in maniera nuova e organizzata molti modelli di interventi e che un grosso apporto sia stato dato dagli operatori capaci, in un'ottica sistemica relazionale, di lavorare con le famiglie e con le istituzioni. Nuove strutture come casa famiglie, cooperative e comunità, tenendo presenti i percorsi psicoterapici hanno avuto uno spazio importante in tutta Italia grazie anche alla partecipazione e alla diffusione di scuole atte a preparare gli operatori sull'elaborazione reciproca delle aree contenitive dell'ansia e della sofferenza.

Tutti i sistemi umani si arricchiscono con aspetti nuovi e creativi e di un livello di maggiore complessità che porta progressivamente anche ad una maggiore conoscenza e coscientizzazione che si traduce in una crescita personale e in un ampliamento dei livelli di cultura.

Occorre però che si discostino da un'area di equilibrio.

La Psicoterapia è di per se stessa un'occasione di permettere in discussione quelle certezze che non hanno spazio di elaborazione e di mentalizzazione.

Il negare e sopprimere questo aspetto appiattisce dando una connotazione pedagogica e di controllo dall'esterno.

Questo era il modello che veniva proposto sulla creazione di comunità basate e controllate con farmaci ormai desueti come il serenase somministrato in notevoli quantità.

Caro Franco, vorrei raccontarti una storia che riassume nell'essenza le tematiche che all'epoca del cambiamento strutturale agitavano gli operatori.

La storia è riferita agli anni ’80. Da Napoli erano venuti numerosi per chiedere una formazione sistemico relazionale.

La maggior parte erano medici e giovani psichiatri. Dei due gruppi selezionavamo quelli che a nostro parere avevano una possibilità di lavorare correttamente nel sociale e che avevano abbracciato e sostenuto le tue idee coagulandosi intorno ad una figura storica e eminente che con te aveva condiviso le dure lotte per l'affermazione della nuova legge.

Con Sergio Piro costoro lavoravano intensamente per dare senso al futuro assetto della Psichiatria nelle strutture pubbliche. Il confronto con la realtà li trovava entusiasti ma non preparati a cogliere le differenze tra il mandato ideologico e quello emozionale legato alla sofferenza.

L'ansia e il senso di impotenza cominciò ad emergere e si sentì la necessità di avere strumenti e tecniche nuove e più efficaci per essere coerenti con le premesse.

All'epoca era anche aperto il conflitto con l'Università. Coloro che praticavano gli ospedali psichiatrici erano fortemente critici e oppositivi tanto da togliere la parola come se gli universitari fossero immondi e infedeli.

A nome di tutto il gruppo dei “puri” uno di loro definì la richiesta: ”voi ci servite ma appena avremmo ottenuto ciò che chiediamo vi butteremo nella spazzatura”.

Il percorso formativo era poi iniziato rendendo a mano a mano sempre più evidente la discrepanza tra i due livelli ideologico ed esperienziale fino a che non emersero aspetti collusivi di gruppo e la necessità di differenziazione di ciascuno alla ricerca anche della propria identità. Le due visioni che sembravano contraddittorie erano solamente ragione di errori logici che una corretta comunicazione ha permesso di far coesistere in un modello di complessità.

I conflitti con i due universitari che facevano parte del gruppo e gli operatori provenienti dalle strutture pubbliche degli ospedali psichiatrici e dei CIM erano scomparsi e si andavano configurando modalità di intervento sistemico con le famiglie condivisi. Nel 1981 io stesso feci il primo seminario a Napoli sull' ottica sistemica relazionale e la terapia familiare. Un'accoglienza bellissima. Anche le mamme dei membri del gruppo parteciparono con paste, calamari ripieni e pastiere napoletane.

La crescita aveva rotto le lealtà invisibili e Sergio Piro era rimasto solo a ripredicare con coerenza e competenza ma senza fornire alternative sul piano psicoterapeutico.

Dai membri di questo gruppo nasceranno poi a Napoli quattro o cinque scuole di formazione alcune delle quali valide e riconosciute in seguito dal MIUR, tutt’oggi attive.

L'elaborazione e la proposizione di un modello non psicoterapeutico è stata sempre il cavallo di battaglia di coloro che avevano fatto parte e che tuttora fanno parte del movimento di Psichiatria democratica.

Non so dire se è solo una fronda che rivendica l'appartenenza storica o no. Il ricorso a farmaci di vecchio stampo è presente nelle comunità che seguono questo modello. Le modalità sono fisse e ripetitive come le messe all'interno di una religione e come l'ortica, a volte riemergono con tutto il bagaglio di ricordi e di dogmi che non rinunciano a far rivivere i vecchi splendori. Sono come i reduci che sfilano, cercando di dar vita a ciò che il tempo ha sigillato. Nasce la nuova strategia non sulle competenze perché la parola Psicoterapia è bandita finanche a nominarla.

Occorre riemergere attraverso l'ideologia allacciando i rapporti con i partiti politici anche loro nostalgici di un tempo che non è più, ma che una serie di circostanze ha dato loro ancora uno spazio nella sanità.

Richiedono e ottengono a volte di poter rientrare non per meriti ma per convinzioni ideologiche condivise. Hanno ottenuto in qualche città o regione uno spazio di potere che ha permesso di mettere in atto modalità censive e di controllo riproponendo vecchi schemi conosciuti ma obsoleti.

Il potere politico però li autorizza a richiamare i nostalgici, a richiamare tra gli infermieri ausiliari, i vecchi principi di condivisione di spazi e potere decisionale annullando o credendo di annullare le gerarchie e le differenze dei ruoli.

Le figure professionali si appiattiscono perché non è necessario fare emergere le differenze e rispettare le rispettive competenze. Il percorso per diventare psicoterapeuti, che ha visto sforzi costi e sacrifici personali, per anni vengono derisi e esautorati di ogni spazio operativo.

Le proposizioni alternative non contemplano elaborazione e mentalizzazione all'interno di processi terapeutici. Gli spazi di tirocini per gli specializzandi delle scuole di psicoterapia sono ostacolati e chiusi perché i tutor non vengono autorizzati a svolgere questa funzione. A Cagliari mi ritrovai a sostenere emotivamente psicologi a cui veniva impedito di operare anche laddove i processi psicoterapeutici erano iniziati da tempo e procedevano con buoni risultati.

L'appiattimento culturale riemergeva alla luce dei vecchi sogni. Io personalmente avevo lavorato con tutti gli operatori di Cagliari Est in un programma di supervisione istituzionale che aveva come direttore sanitario uno psichiatra che aveva partecipato a Trieste all'avventura basagliana.

La supervisione istituzionale venne poi estesa anche a tutti gli operatori di Cagliari Ovest che nel 1998 che stavano diventando operativi nel territorio in corrispondenza della chiusura dell'ospedale psichiatrico. Tutto il lavoro svolto in quegli anni che aveva permesso ai singoli operatori di trovare anche le loro aree di interesse e di piacere nel lavoro all'interno della struttura sanitaria andava dissolvendosi non alla luce di un confronto sui contenuti ma su una gestione fideistica di stampo integralista.

Fortunatamente in tutti i luoghi in cui erano riusciti ad ottenere i loro programmi sono decaduti dalle loro funzioni perché si è sviluppato un sentimento di intolleranza che ne ha permesso l'uscita omeglio la “cacciata”. Faccio non solo riferimento al Dipartimento di Salute Mentale di Cagliari, ma anche a Caserta in Campania e in Calabria.

Tentativi di ulteriore e più recente inserimento hanno visto l’area Toscana di Grosseto con punti di forza a Livorno dove ancora forse godono di appoggi politici.

Di recente in Spagna a Bilbao davanti a un Cogote a la donostiarra (testa di merluzzo d’Atlantico cotto alla plancia e passata al forno) ho appreso da Antonello D’Elia che è il Presidente di Psichitria democratica. Ho avuto un piacevole colpo al cuore perchè Antonello si è formato con me viaggiando all’epoca da Torino per formarsi in un’ ottica sistemico relazionale che lo vede ora anche didatta presso l’Accademia di Psicoterapia Familiare. Lo scroso anno partecipai pure a Madrid durante il convegno della “Terapia Multifamiliare“ a un dialogo immaginario svolto in un incontro tra Franco Basaglia e Badaracco con la partecipazione di Federico Russo.

Nel disegnare quindi la storia di quanti pur impegnati nel portare avanti le rivoluzioni, le idee basagliane hanno percorso la strada di una formazione e di una prassi operativa nell’ ambito di un‘ ottica sistemico relazionale

non possono che fare riferimento a figure anche loro storiche.

Tra i più tenaci e coerenti troviamo Luigi Cancrini e tutto il gruppo e i gruppi che sono gemmati nel suo Centro,

Maurizio Andolfi che con me e tutto il gruppo ha operato congiuntamente fino agli anni ’91; ma se giri l’imbuto troviamo tutti i gruppi napoletani e di Avellino. I gruppi calabresi di Crotone, Catanzaro e Cosenza.

I gruppi genovesi e tutti quelli a Trento, Treviso, Vicenza, Modena e quelli che sono a Firenze, Bologna e anche ad Ancona e Teramo e non ultimo i gruppi pugliesi, sardi e siciliani. Antonello Delia riassume questa storia più legata alla complessità con un orizzonte aperto a nuove prospettive eticamente democratiche e anche rispettose dei diversi livelli e aperto a nuove modalità operative. Rivive in parte Prigogin e seguono Maturana e Varela con la struttura che cambia ma l’organizzazione rimane.

 

Carmine

 

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