Il tempo è una dimensione dell’animo. Non so dire se i 25 anni sono passati troppo in fretta o troppo lenti ma certo ho la consapevolezza delle cose che abbiamo fatto e del livello di complessità raggiunto nella formazione e nella clinica seguendo il nostro modello sistemico relazionale simbolico esperenziale.
Era forse l’anno 1976 quando C. Whitaker ci parlò dell’emisfero sinistro e dell’emisfero destro. L’emisfero sinistro è depositario e artefice delle logiche disse, possiamo condividerlo attraverso epistemologie, modelli e modalità di intervento. L’emisfero destro è invece unico al mondo per ciascun individuo nella funzione di creare immagini, metafore, fantasie e storie.
L’integrazione dei due emisferi attraverso il corpo calloso in un gioco armonico con istinti affetti, con emozioni e sentimenti permette di definire il nostro stile di vita e di intervento. Anche questa appena accennata è tuttavia una metafora che ci permette di tracciare un percorso formativo centrato sul se dell’individuo e del terapista con una premessa di tipo metodologico che ci rinvia ancora ad un’altra metafora che informa tutta la didattica della Scuola.
È vero che all’inizio rimasi folgorato con l’incontro con S. Minuchin nel vederlo operare con tanta efficacia in terapia creando spazi e movimenti mirati, nonché metafore agite che rendevano il suo intervento ai miei occhi unico. Il fascino determinava un bisogno di imitare per essere quanto più vicino a lui ed efficace nel mio percorso terapeutico. Il modello che stava adottando era un modello platoniano in cui l’uomo tende a raggiungere la perfezione insita nel mondo delle idee ma anche consapevole di non poterla mai raggiungere. Minuchin era dunque il mondo delle idee.
Nel tempo tuttavia attraverso il confronto con gli allievi, mi ritrovai ad essere sempre più socratiano. Socrate diceva che ognuno di noi porta la verità dentro di se e che il maestro è colui che attraverso l’ironia, il dubbio e la maieutica aiuta l’allievo a trovare o scoprire la sua verità interna. Ecco ancora dunque l’individuo ritornare protagonista della sua storia e cocreatore con gli altri di storie uniche e infinite. Conosci te stesso e sii cosciente che sai di non sapere niente. Sono due indicazioni che informano il percorso per diventare terapeuti.
Quando 25 anni fa nacque la Scuola Romana di Psicoterapia Familiare le basi epistemiche della cibernetica di secondo ordine tracciate da Von Fester e Maturana e Varela erano già condivise nel senso che non era più possibile concepire l’osservatore neutro in quanto è parte del sistema stesso. L’osservatore portando nell’interazione con il paziente la sua storia personale e familiare necessariamente cocostruisce il percorso terapeutico. Da ciò nasce l’esigenza sia per il terapeuta sia per l’individuo e la famiglia, la ricerca del mito personale e del mito familiare attraverso il genogramma e il cronogramma. Ancora una volta una metafora sembra ben rappresentare questo processo.
Nel tempo che avevo iniziato ad approfondire l’epistemologia sistemica, avevo pure cominciato il mio percorso analitico durato 4 anni con 4 sedute settimanali. I due percorsi che all’epoca sembravano divergenti ebbero invece un tragitto convergente che si è concretizzato nel modello e di anzi accennato sistemico relazionale simbolico esperenziale.
Per tornare alle metafore, le immagini mi portano in Brasile a Manaus dove il fiume Amazona si incontra con il fiume Soleman. Di origine e provenienza diversa, differenti per colore, intensità e calore, per un lungo tratto si snodano mantenendo ciascuno la sua caratteristica e dando luogo a quel fenomeno che tutti corrono a vedere di un fiume con due colori. Poi lentamente le acque si mescolano dando origine al Rio delle Amazzoni. Questo fenomeno è la giusta rappresentazione di quanto avviene o dovrebbe avvenire all’interno di ciascun terapeuta quando valorizza l’intrasoggettivo e l’intersoggettivo. Non abbiamo tuttavia mai preteso che per iniziare la formazione in Psicoterapia Sistemica dovesse l’allievo effettuare preventivamente l’analisi personale perché una scelta così importante non può rispondere alle aspettative di qualcuno ma essere motivata dall’incontro con i pazienti che sono capaci di toccare parti profonde del terapeuta motivandolo ad un lavoro su se stesso.
Nel corso di questi anni non vi è patologia che non sia stata affrontata in percorsi terapeutici ne ambiti in cui non ci si sia confrontati nei diversi contesti, individuali, familiari ed istituzionali. Ma se è vero che le Scuole si formano anche seguendo la storia del suo fondatore non posso qui non sottolineare quanto della mia esperienza venticinquennale dell’Istituto di Neuropsichiatria Infantile, dell’Università di Roma, si sia riflesso nella nostra Scuola. Il lavoro con le famiglie con i bambini, con i ragazzi e con gli adolescenti ha consolidato il modello che vede il terapeuta operare con tutti i membri della famiglia in seduta. Questo modello differisce notevolmente dal modello proposto nel Tawistock dove viene impegnato un terapista per il bambino e un terapista per i genitori. I principio è che dove vi sono bambini, i ragazzi e adolescenti non occorre parlare “su di loro” ma “con loro”. Ciò che loro ci mostrano in seduta è il vero livello comunicativo che permette di individuare le regole del sistema in cui noi stessi siamo inclusi. Ecco quindi il terapeuta ancora una volta attivare un ascolto che nasce dall’interazione e che permette di cogliere quell’aspetto unico che è la rappresentazione metaforica della problematica familiare insita nella proposta sintomatica. La complessità del modello non ha scoraggiato nel tempo decine e decine di allievi che si sono succeduti e che ancora sono presenti nella Scuola. A loro oggi e ai nuovi e vecchi didatti rivolgo sempre questo augurio di un incontro in questo spazio che sento ricco e promettente per uno scambio che si espanda e raggiunga le diverse sedi della Scuola ma che vada anche oltre i confini.