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L'incontro con il nuovo

Ma con te non mi comporto in modo logico:

solo in modo follemente logico.

E non voglio nemmeno aspettare perchè il tempo con te è diverso.

 E’ circolare, e ogni momento si trova esattamente

 alla stessa distanza dal centro.
David Grossman, Che tu sia per me il coltello

 

  • L’incontro con il nuovo

 

  • L’importanza di un imbuto

Durante il mio percorso accademico, mi sono sempre posta la domanda del dopo, di cosa voler fare, di continuare con una scuola di psicoterapia o meno, di cominciarla subito o di aspettare. Sono sempre stata una persona molto curiosa e ho sempre posto un sacco di domande ai miei didatti, domande che mi aiutassero a capire che strada prendere e quale potesse essere più consona a me. Solitamente gli ambienti universitari sono severi, rigidi, e, i professori difficilmente interagiscono a livello umano con gli studenti, si pongono sempre dietro quella “cattedra” posta su una pedana che rappresenta un varco invalicabile… Eppure, qualche volta, qualcuno scendeva da quella pedana e si metteva sul nostro stesso piano, concedendosi un poco in più e permettendo a noi di chiedere qualcosa in più… Ed in effetti, durante una lezione di psicodinamica con la professoressa Lucarelli, la quale mi prendeva sempre in giro per il mio accento campano, iniziammo il discorso del dopo, di cosa ci attendeva una volta finita l’università, della possibilità di continuare con una scuola di psicoterapia e delle varie scuole di psicoterapia. Lei, per la prima volta, mi parlò dell’approccio sistemico-relazionale, a me sconosciuto, e mi parlò del professor Saccu, di un uomo sui generis, un padre fondatore della scuola Romana e mi raccontò un poco di questa scuola. Questa conversazione mi incuriosì molto e mi portò a scoprire un nuovo mondo, un mondo che iniziava sempre più ad affascinarmi e da quel momento iniziai sempre più a documentarmi.

Nel frattempo, durante il mio percorso accademico, conosco e mi confronto con un altro approccio terapeutico, quello della “Psicoterapia Breve strategica”, con una terapeuta “strategica” che a tutti costi mi voleva imporre di guardare “l’imbuto” dal sopra al sotto, dal grande al piccolo, bisognava a tutti i costi arrivare ad uno, da qualsiasi numero si partisse, l’obiettivo ero uno… Questo imbuto mi stava stretto, non riuscivo ad accettare e non potevo pensare che per raggiungere il fantomatico uno era necessario annullare una vita, dimenticare un passato, cancellare una storia, tutto per poter arrivare a trovare un problema, uno solo… l’etichetta…

In fondo noi siamo la sommatoria del tutto, siamo un insieme di tante cose, siamo un insieme di famiglie, un insieme di amori, di odi, di scontri, di abbracci, di lacrime, siamo fatte di tanto e non solo di una singola cosa e il fatto di dover cancellare il tutto così come un’onda porta via un castello di sabbia non mi piaceva, non rispettava il mio essere. Più frequentavo questo tirocinio, più mi rendevo conto di quanto io volessi capovolgere questo imbuto, di quanto non potevo pensare che il tutto si riducesse al singolo ma al contrario che il singolo faceva capo ad un tutto, di quanto era lontana da me l’idea che il passato non potesse influenzare il presente…

Ed è stato proprio questo il motivo che mi ha spinta a guardare oltre, di spingermi oltre l’orizzonte per cercare un punto di vista diverso. E poi ecco la Lucarelli che mi consiglia questa scuola…

Quando ho cominciato ad informarmi, iniziava a piacermi, ho cercato varie fonti di informazioni, mi sono informata su internet e anche attraverso vecchi allievi. Il modo in cui questi ultimi ne parlavano mi piaceva, mi piaceva ciò che leggevo, me la sono sentita cucita addosso ed ho pensato che fosse quella giusta per me. Tanto è vero che ho fatto solo un colloquio, solo per questa scuola. Pur essendomi informata sulle altre scuole, sugli altri approcci psicoterapeutici, non ho mai pensato di volermi iscrivere altrove. Il mio obiettivo era finire il mio percorso proprio in questo modo…

E così ha inizio il mio percorso…

Come in ogni nuovo inizio, mi sono sentita un po’ scombussolata, disorientata, per la prima volta non avevo un banco, non avevo delle direttive, qualcuno che mi dicesse cosa dovevo fare e cosa no, ero solo io e il mio essere a dover decidere cosa voler fare. Abituata ad un mondo di regole, abbastanza rigido, non è stato facile per me, ma un poco alla volta ho cominciato a mettermi in gioco, a sperimentarmi, a entrare nel vivo di questo approccio.

Questa scuola, smonta un poco quello che è il pensiero della psicoterapia in generale, l’idea dello studio psicoterapeutico, della scrivania con lo psicoterapeuta seduto dietro. Questa scuola offre una nuova prospettiva. Ma giustamente parte già dalla formazione. Proprio dalla formazione si inizia a vedere che non si è più con il professore dietro la cattedra e gli allievi dietro un banco, ma si è tutti seduti insieme, a formare un cerchio, perché le informazioni non sono lineari, ma circolari. Questa è proprio la caratteristica fondamentale, la circolarità…

Così come nel contesto formativo la diversità si ha anche nel contesto terapeutico. Se penso a me, alla prima volta che sono arrivata a scuola e non ho trovato cattedra e banchi, ma solo sedie disposte in semicerchio, al senso di disorientamento, posso immaginare anche come i pazienti che giungono in terapia si possano sentire non trovando “la classsica” scrivania…

Questo percorso formativo è stato fondamentale per la mia crescita personale, mi ha costretta a mettermi a nudo, mi sono messa in gioco, cercando di capire quali fossero i miei limiti, le mie paure, le mie perplessità. Perché se non partivo da me, non potevo mai pensare di arrivare agli altri.

Non dimenticherò mai le parole della dottoressa Scalise quando mi disse: “chiediti il perché quella persona non ti piace”, “non dire non mi piace e basta, datti una spiegazione”. E la spiegazione era che quella particolare caratteristica, quel disturbo che mi creava repellenza, metteva in luce parti nascoste di me, mi metteva dinanzi a qualcosa che mi urtava, mi dava fastidio e mi faceva male, qualcosa che cercavo di schivare per evitare di lavorarci su. Ma dopo un po’ ho capito che questo non è possibile, non è più possibile, non si possono evitare persone cose e situazioni, anche perché, quando si sta seduti sul divano in attesa del paziente, non si sa chi varcherà la porta e con lui cosa porterà… Era arrivata l’ora che facessi i conti con me stessa perché non potevo più permettermi di non farmi piacere qualcosa, dovevo iniziare ad accettare i miei limiti, le mie paure, a tirar fuori i miei scheletri dall’armadio, perché solo così avrei potuto continuare il mio percorso formativo e personale.

  • Condividi-amo una strada sconosciuta

Il percorso formativo, con la scuola di psicoterapia, nasce in un momento di transizione, dal dover rinunciare alla piena libertà di vivere sola, dopo cinque anni vissuti a Roma, e, il dover ritornare nuovamente a casa.

La voglia di continuare la mia formazione è tanta, così come la voglia di incrementare sempre più il mio bagaglio culturale, ed è per questo che preferisco non aspettare, non prendermi altro tempo dopo l’università ma di iscrivermi subito, di continuare “a ballare”, ed è così che contatto la scuola e mi viene fissato il colloquio.

Il mio Io parte da qui, da questo viaggio di decisioni, di scelte, che mi porta a fare questa scelta.

 In questo viaggio verso una strada sconosciuta, incontro quelli che saranno i miei compagni di avventura, quelli che condivideranno con me questo nuovo percorso formativo. Alcuni dei miei compagni li incontro prima, durante il percorso di tirocinio post- laurea, altri invece durante il viaggio.

Nel mio percorso da studente è la prima volta che mi trovo a condividere sin dall’inizio un percorso con persone che già conosco, perché, fino a quel momento, ogni percorso scolastico intrapreso l’ho sempre fatto da sola, senza conoscere nessuno. Fino a quel momento ogni nuova esperienza è sempre partita e nata dal nuovo, dall’inatteso, invece, questa volta non è stata così. Il fatto di conoscere sin dall’inizio, persone con le quali avrei intrapreso un nuovo percorso un po’ mi spiazzava ma dall’altro lato un po’ mi rassicurava. Strane coincidenze, strane circostanze mi hanno portato a percorrere questo viaggio con persone conosciute.

Da subito, questo conoscersi fa si che ci venga posta l’etichetta “degli irpini”, questa ci viene posta per due ragioni: la prima per la provenienza geografica, la seconda perché inizialmente non eravamo iscritti presso la sede di Napoli ma di Avellino.

Da qui inizia un percorso un po’ difficile, il dover far emergere il mio io, differenziandomi dal Noi irpino, e, allo stesso tempo consolidare il noi “irpino” che mi stava facendo sperimentare questa nuova emozione, iniziare a conoscere qualcosa di nuovo con accanto visi già conosciuti.

Da subito iniziamo la costruzione del nuovo gruppo classe. Una classe eterogenea, con diverse menti appartenenti a regioni diverse.

La cosa che subito spicca è la preparazione (a livello didattico e di formazione) di questo gruppo e, inoltre, spicca la curiosità (cosa che ci contraddistingue ancora oggi).

Un’altra cosa che emerge è relativa alle nostre storie personali, storie forti, pieni di vissuti emotivi che pesano nel bagaglio di ognuno di noi. Storie di vita pesanti per la nostra giovane età, storie che si intrecciano e che colpiscono ognuno di noi nel profondo (non si può restare indifferenti dinanzi a tanta sofferenza).

E come in ogni gruppo, ecco la fase idilliaca iniziale “tutti per uno, uno per tutti”. Inizia la voglia di appartenere, di essere. Iniziano tutti i buoni propositi, facciamo questo e facciamo quello… E come in ogni buon gruppo, la bolla di sapone si scoppia ed iniziano le prime questioni interne, la lotta a ricoprire il posto di leader e quello del capro espiatorio. Ed è proprio per questo che iniziano i primi screzi all’interno del gruppo. La fusione iniziale comincia a disgregarsi, si iniziano a formare piccoli sottogruppi, all’interno dei quali, ognuno cerca, a modo suo, di creare nuovi rapporti, nuove amicizie.

Nel frattempo, la vita di ognuno di noi procede, momenti belli e brutti iniziano nuovamente ad intrecciarsi e lasciare segni indelebili, e come sempre non si può restare indifferenti.

Mentre eravamo in frenesia all’idea dell’organizzazione del mio matrimonio, un altro matrimonio finiva e nell’immediato un altro ancora nasceva, portando con sé una nuova vita tra noi. Si, questi anni sono stati caratterizzati oltre che da perdite e dolori, anche da rinascite e nuove vite. La mia piccola Chiara e il piccolo Ludovico sono diventati parte integrante del gruppo. Il loro “ingresso” non è passato inosservato e la loro vita ha ridato vita un po’ a tutti.

A mio parere, proprio questa nuova vita mi ha permesso di riprendermi il mio Io, di differenziarmi nuovamente dal gruppo, di uscire fuori per la mia vera natura, la mia vera essenza, il mio IO. Questo passaggio è stato fondamentale, mi ha concesso di capire che Alberta è Alberta fuori e dentro, senza la necessità di essere per forza approvata e/o sostenuta. Che posso farcela anche da sola senza dimenticare il mio gruppo, perché lo so che all’occorrenza potrei sempre fare affidamento su di loro, so che loro sono comunque lì, presenti, ma nel frattempo Io posso camminare da sola, non solo a piccoli passi, ma anche sostenendo un passo più veloce in direzione dell’orizzonte. In fin dei conti il bello del nostro lavoro è proprio questo, cambiare per migliorare, senza mai dimenticare da dove si è partiti.

  • La nuova scoperta

Il caso clinico di cui parlerò, è quello della famiglia Spoldi. Il lavoro con questa famiglia è stato importante per me, importante perché il lavoro di cooterapia con il professor Vallario mi piace, perché così come è capitato già nelle due famiglie precedenti che abbiamo visto insieme, riesce a spronarmi, sa quando è il momento di lasciarmi sola e quando è il momento in cui è importante che lui sia con me.

La fortuna della cooterapia, durante la formazione è proprio questa, quella di avere una supervisione continua. Il fatto di sapere che qualcuno ti sta osservando ti spinge a fare meglio e allo stesso tempo ti apre gli occhi su quelli che sono gli errori che si commettono. La presenza di un terzo fornisce maggiore chiarezza.

Da un punto di vista personale, è stato un momento molto importante, poiché avevo avuto un “time-out” professionale dato dalla gravidanza e dalla nascita della mia piccola Chiara.

Durante questi anni di formazione la mia vita personale è cambiata drasticamente. Ci sono stati tanti eventi nella mia vita belli ed eventi meno belli. Quello meno bello, è stata la perdita di mia nonna paterna, la donna che per tutta una vita aveva reso difficile la vita di mio padre volge a fine, la donna che una volta che mio padre è venuto a mancare rifiuta me, mi impedisce di continuare a vederla e con lei il resto di tutta la famiglia paterna. La sua morte è stato come evento in sé non bello, ma personalmente mi ha aperto un nuovo spiraglio. Non è stato facile trovarlo, ma questa luce fioca l’ho intravista grazie al genogramma. Infatti, grazie a quest’ultimo ho potuto rivalutarla, mi è stato fornito un altro punto di vista. Per una vita intera l’ho sempre vista come “la strega” della mia famiglia. Non riuscivo a comprendere il perché di tanti suoi comportamenti, di azioni che facevano soffrire tanto mio padre. Poi, una volta venuto meno mio padre, è come se mi avesse lasciato il testimone, e tutto quello che prima era contro di lui, dopo era contro di me. Prima non voleva lui, dopo non voleva me. Tutto questo mi faceva stare male, non riuscivo proprio a darmi una spiegazione.

Oppure una spiegazione non ero pronta ad accettarla…

Purtroppo il più delle volte è come se ci fossilizzassimo su un’idea, su un concetto senza considerare l’opportunità di altro. Proprio come era capitato a me e al pensiero cha da una vita facevo sulla famiglia di mio padre. Il genogramma mi ha “liberato” da questo pensiero e mi ha fatto ragionare con lucidità sulle ragioni per le quali a volte alcune persone possono comportarsi in questo e non in un altro modo. Quindi tanto brutto come evento fondamentalmente non lo è stato.

Il genogramma è stato fondamentale nel mio percorso di crescita e formazione. Ricordo ancora la paura nel farlo, il rifiuto di dover mettere mani dentro, la negazione di date di nascita, date di morte, nomi. Volevo rimuovere, o meglio fino a quel momento l’ho fatto…

Ricordo benissimo l’immagine di me alla lavagna, con il mio cartellone fatto di cerchi, quadrati e linee che si intersecavano tra loro, e quella X che proprio non riuscivo a mettere sul nome di mio padre. Mentre ci penso mi si illuminano gli occhi di lacrime e un po’ come a quel giorno, mi manca un pochino l’aria e vado in apnea…

Fino a quel momento avevo negato che la mia vita era stata segnata da un’altra grossa perdita… la prima perdita la avevo avuta ancora in grembo, perché io non sono stata concepita sola, eravamo in due, io e un altro o un’altra, però solo io ce l’ho fatta, solo io forse ho avuto già da lì la forza di combattere. E da lì sono stata figlia unica, figlia unica come tutti i membri della famiglia Spoldi.

Tornando, al genogramma, ricordo perfettamente la confusione iniziale, nel ricordare, nel mettere a fuoco fatti e racconti, nel venire a capo alla mia storia da telenovela americana… fino a quando non ho iniziato a fare un poco di ordine. Ho iniziato a collegare e a spiegarmi il perché di tanti atteggiamenti, di tanti comportamenti. Tutto quello che fino a quel momento mi aveva fatta soffrire, perché non riuscivo a comprendere, ora iniziava ad essere più chiaro. E anche quella che per una vita avevo considerato “la strega” della mia famiglia, iniziava a prendere sembianze più umane.

Tutto iniziava ad essermi più chiaro, finalmente riuscivo a mettere insieme i pezzi del mio puzzle. Ora riuscivo a dare delle risposte a domande che mi ponevo da tanto tempo, riuscivo finalmente a trovare un po’ di ordine, nella grande confusione che ha caratterizzato la mia vita.

Ho pianto tanto durante tutto il genogramma, ma il mio ultimo pianto è stato liberatorio, finalmente potevo concedermi, potevo non trattenermi, potevo liberarmi dei miei scheletri e ri-cominciare. Il mio puzzle prendeva forma, ma soprattutto si animava di colori…

Come dicevo in precedenza, durante questi 4 anni di formazioni ci sono stati anche eventi molto belli…Il primo è stato il matrimonio con Roberto, il mio compagno di vita, il mio compagno di avventura, l’uomo che mi ha regalato il sorriso. Lui è entrato nella mia vita in punta di piedi, è entrato con il sorriso, con l’allegria. Mi ha regalato risate pure, mi ha consentito di ricominciare a ridere. Il nostro sogno si realizzava, dopo sette anni, finalmente potevamo viverci liberamente, sotto lo stesso tetto, potevamo condividere ancora di più le nostre vite.

Successivamente al matrimonio c’è stata la nascita della nostra piccola Chiara. Sono stati due eventi molto belli, che hanno cambiamento radicalmente la mia vita, la vita di Roberto e la nostra vita insieme. Ogni cambiamento porta crisi e la crisi c’è stata, bella tosta, come una scossa di terremoto che non lascia nulla in piedi e che distrugge tutto, e poco alla volta, insieme, abbiamo cercato di ricostruire.

Chiara ci ha permesso di diventare genitori, e diventare genitori richiede rivedere i propri genitori interni ed esterni, fare a botte con loro dentro e cercare di essere dei buoni genitori fuori, per lei. Non è facile, anzi, penso che sia la cosa più difficile al mondo. Sapere che un piccolo esserino dipende da te è un compito molto duro, ma se fatto con amore, tutto si può fare.

La gravidanza, è stato un momento molto delicato della mia vita, poiché non è stata una gravidanza facile. Ho avuto molti problemi e soprattutto molta paura, paura di perderla... Una volta che senti il cuoricino battere dentro di te la vita è già fatta, senti già che quel piccolo esserino sta crescendo ed è inevitabile che la vita inizia ad avere altre priorità. I problemi durante la gravidanza a volte mi hanno tenuta lontana anche dalla scuola, e questa cosa mi faceva soffrire molto, infatti cercavo in tutti i modi di recuperare, di non sentirmi fuori, di continuare a seguire e a sentirmi parte del gruppo. Poi una volta nata, nata soprattutto sana, ho potuto riprendere la mia vita in mano e continuare il mio percorso. Ma avevo bisogno di un’opportunità…

Il ritornare, il rimettermi in gioco, mi spaventava molto, tutti i dubbi e le incertezze che avevo in passato sulla possibilità di essere più o meno brava ora erano moltiplicati. Mi sentivo in mezzo ad un labirinto e non sapevo se continuare in cerca dell’uscita o tornare indietro verso l’ingresso…

La famiglia Spoldi è arrivata nel momento giusto e mi ha dato l’opportunità di rimettermi in gioco.

 

 

 

 

Viaggiando in lungo e largo

per il mondo ho incontrato magnifici sognatori,

 uomini e donne che credono con testardaggine

nei sogni, li mantengono, li coltivano,

 li condividono, li moltiplicano.

Io, umilmente, a modo mio ho fatto lo stesso.

(Luis Sepulveda)

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