Finito la specialistica mi trasferisco in Germania senza sapere che il tirocinio post-laurea, quello che ti permette di accedere all’esame di stato, all’estero non si puo’ fare… o almeno, l’ Universita’ non ha accolto la mia richiesta. La soluzione che si prospettava era l’inevitabile ritorno in Italia con tutto quello che di negativo costava per me.
Le speranze sembravano finite, quando, per puro caso trovai un volantino; la mia salvezza. In quelle poche righe scritte sul foglio intravedevo una beata speranza di riuscire a risolvere la mia “situazione formativa” e cosi’ mi decido, contatto con una email la psicoterapeuta chiedendole di poterci incontrare.
Quando incontrai quell’angelo biondo, di nome Tiziana, era una giornata senza sole, come al solito nella Nordrhein-Westfalen, a cui ancora io, campana doc, non ero abituata, e per dirla tutta, questa abitudine non e’ mai arrivata. Mi parlava di triangoli, di Bowen, Minuchin, differenziazioni, invischiamento e a me sembrava di sognare.
Mi racconta di una scuola dove lei stessa si e’ formata che poteva accogliermi come tirocinante. E fu cosi’ che conobbi Via Reno, la Scuola Romana di Psicoterapia Familiare, il Prof. Carmine Saccu con la sua cagnolina Lola e un imbuto.
Si, un imbuto, un oggetto apparentemente portatore di un unico significato e modalita’ d’uso, come ha giustamente pensato anche l’artigiana a cui mi sono rivolta per farmelo creare in argento, anzi, in realta’ gliene ho ordinati sei. Alla consegna la ragazza mi chiede : “ora che il lavoro e’ finito, mi devi spiegare cosa significa, perche’ oltre che essere una richiesta bizzarra mi sembra anche importante dato che coinvolge piu’ persone.” Ebbene, l’imbuto e’ stata la prima parola che mi ha fatto letteralmente impazzire di curiosita’ rispetto a questa scuola.
Uno dei primi giorni di training sentivo il prof. chiederci : qual e’ il nostro strumento principale? E li giu’ a rispondere super paroloni studiati sui libri universitari… invece la risposta era tutta li, in una parola, in quell’oggetto.
La capacita’ del terapeuta sistemico relazionale sta nel girare e rigirare l’imbuto, guardare dalla parte larga alla parte stretta per focalizzarsi su aspetti individuali fino ad arrivare all’anima del paziente e rigirare l’imbuto guardando dalla parte stretta alla larga per ricercare nel sintomo, nello stato e nel racconto del singolo individuo una storia piu’ ampia, un significato diverso che raccoglie le narrazioni, le emozioni, le relazioni e il senso di tutti i componenti del sistema.
Quando in terapia sento di andare solo verso una direzione, che la mia mente si sta chiudendo o fissando solo su una ipotesi, su una singola persona e sulle sue parole, mi fermo, guardo l’imbuto attaccato al mio bracciale e riapro, cercando di virare verso le relazioni significative della famiglia, tenendo a mente quanto appreso in questi anni di formazione e cioe’ che il sintomo portato dall’individuo ha profondi significati relazionali. Assistere a terapie familiari fatte dai miei professori ha dato la possibilita’ alla mia mente di aprirsi a mondi nuovi, a diversi modi di leggere e dare un senso a certi eventi; mi ha fatto comprendere quanto sia importante nel nostro mestiere, non solo la capacita’ di sostenere, di prendersi cura, cercando di abilitare e riabilitare chi in quel momento ha bisogno di un aiuto perche’ intriso e imprigionato nella sua sofferenza, ma anche e soprattutto di quanto sia fondamentale per il terapista e il paziente: “co-costruire il significato che si da’ alla propria realta’, la quale prende forma dalla nostra posizione, dalla nostra esperienza e dalla nostra istruzione, da ciò che conosciamo e che si intreccia con quella dell'altro, cambiando continuamente e costruendo così una nuova realtà e un nuovo punto di vista dove la specializzazione di ognuno è solo una posizione di riferimento e non di identificazione”. {Von Foerster}
Tutto questo grazie “all’imbutino”.