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Recensione di Alberto Vito Carmine Saccu “I sommi sacerdoti. Autismo e Psicosi infantili” Edito da Scuola Romana di Psicoterapia Familiare, Roma, 2022, pp. 131

PUBBLICATO SULLA RIVISTA FRATTALI, N. 5, ANNO 3 NOV. 2022

LINK: https://www.rivistafrattali.it/

 Si è tenuto a Todi per tre giorni a metà ottobre un importante Congresso per festeggiare il trentennale delle attività di formazione della Scuola Romana di Psicoterapia Familiare. Oltre a Carmine Saccu, direttore della Scuola, sono intervenuti diversi terapeuti, rappresentanti di altre scuole di matrice sistemico relazionale: Umberta Telfener (a cui vanno gli auguri per la recente nomina a  Presidente dell’EFTA European Family Therapy Association), Alfredo Canevaro, Pietro Barbetta, Camillo Loriedo, Marcelo Pakman (in video-collegamento dagli Stati Uniti), Rossella Aurilio e Fabio Bassoli. Altre relazioni sono state presentate da quattro didatti interni della S.R.P.F.: Antonio Acerra, Paolo Bucci, Stefano Fantozzi e Alberto Vito.

Il Convegno di Todi è stata anche l’occasione per presentare il libro che Carmine Saccu, con il linguaggio immaginifico che gli è proprio, dedica ai “sommi sacerdoti”. Questo volume costituisce la seconda puntata della narrazione scritta, in cui egli racconta la propria vita, mescolando insieme episodi biografici, riflessioni personali e fantasie, riferimenti all’attività clinica e di formazione, con ampio spazio al  suo originale modello di lavoro. Il primo capitolo di questo racconto si intitolava: “Deutero, le metafore e Dio” ed era stato pubblicato nel 2019. Va subito detto che Deutero (in onore al noto concetto di deutero-apprendimento introdotto da Bateson) è il nome letterario che Carmine Saccu attribuisce a se stesso, per chiarire subito che si tratta di testi a metà tra la divulgazione scientifica e il racconto autobiografico.
Per i più giovani che non lo conoscessero, Saccu, neuropsichiatra infantile, già professore associato presso l’Istituto di Neuropsichiatria Infantile dell’Università Sapienza diretto da Bollea, fondatore a Roma nel 1975 dell’Istituto di Terapia Familiare, insieme ad Andolfi, Menghi e Nicolò, è un pioniere del modello sistemico-familiare, con uno stile clinico particolarmente originale, ed ha svolto formazione non solo in Italia ma anche in Spagna, Francia, Belgio, Argentina. Avendo letto anche il primo libro di Carmine, che comunque finora aveva scritto poco e che quindi scopre la vena letteraria dopo ampia sedimentazione, la prima cosa che colpisce è quanto si sia modificato lo stile di scrittura in questa pubblicazione più recente. Infatti, il precedente testo era stato redatto utilizzando quasi un linguaggio parlato, in cui Carmine raccontava in modo molto libero, in un fluire di parole che evocava le libere associazioni, immaginando di parlare ad un gruppo di allievi e amici, magari dopo una tavolata e a fianco di un camino. Nel secondo libro, invece, pur non mancando le ampie divagazioni, l’argomento è delimitato ad una specifica situazione clinica, con uno stile di scrittura  più controllato: il riferimento ai casi clinici è chiaro e particolareggiato e, di conseguenza, la lettura risulta molto agevole e avvincente.

Il libro è dedicato all’illustrazione del modello di lavoro con bambini autistici e psicosi infantile attraverso un’ottica sistemico-relazionale-simbolico-esperienziale, elaborato da Carmine a partire dagli anni 1970-80 e successivamente messo a punto presso la Scuola Romana di Psicoterapia Familiare. Sul tema aveva già pubblicato nel 1984 un articolo dal titolo “Il bambino come oggetto di cura e di formazione relazionale” apparso in un volume curato da M. Andolfi e D. Picone, ma ora presenta riflessioni ben più ampie.

Dopo i capitoli introduttivi, nel testo sono descritti nove processi clinici, che coprono diversi anni della sua attività clinica. Essi sono impreziositi dall’accompagnamento di numerose foto in b/n delle sedute familiari e beneficiano della sbobinatura dei nastri videoregistrati realizzata nel tempo dagli allievi della scuola. Alcuni dei percorsi clinici presentati sono avvenuti mediante coterapie, in altri casi si tratta di supervisione diretta.

La prospettiva osservativa che propone Saccu è certamente molto originale: certi bambini, affetti da un disturbo relazionale, portatori di handicap o meno, possano essere considerati “sommi sacerdoti”, rispondenti al principio della “relazionalità assoluta”.

I sommi sacerdoti sono maestri in quanto posseggono la dote di “stare nella relazione, negando la relazione”. Per Carmine la loro abilità consiste nel non distrarsi mai da tale attitudine, possedendo il controllo assoluto nella negazione di ogni significato e di ogni dialogo, in una dimensione temporale eterna in quanto ferma. Visti in questi termini, i sommi sacerdoti non sono più degli “incapaci”, indifferenti alla relazione con l’altro,  ma rivelano al contrario un’abilità notevolissima nel rimanere fermi nella loro attitudine di diniego della relazione. Così, laddove chiunque scorgerebbe apparentemente solo mancanza di relazionalità, con emozioni indifferenziate, eventi privi di senso e assenza di dialogo, Saccu afferma la presenza, ad un livello logico più alto, di una competenza inaspettata  con il massimo coinvolgimento relazionale e persino una funzione altruistica, in quanto la modalità di arrestare il tempo è al servizio del sistema familiare. Compito del terapeuta diventa allora, con un gesto  imprevedibile, creativo e apparentemente senza scopo, fare qualcosa di tanto inconsueto da avere il potere di distrarre  il sommo sacerdote dal suo compito, in modo che egli inizi a entrare nella relazione con l’altro. Emblematica la prima storia descritta, quello di Sandro, un bambino incontrato diversi anni fa, con cui apparentemente era impossibile interagire,  che invece iniziò a rispondere a tono allorquando Saccu lo prese per i piedi ed iniziò a rivolgersi ad essi. Ma tutte le vicende cliniche sono molto belle e affascinanti, mstrando come, almeno nel qui ed ora del setting terapeutico, effettivamente Deutero riesce a riattivare risorse comunicative impensabili. Il segreto è nella creatività del terapeuta che deve connettere il proprio emisfero destro con quello sinistro, la pancia con la testa. In questo modo, può inventarsi qualcosa, spesso sotto forma di un gioco che provoca l’interazione di tutti i familiari presenti, che, attraverso la curiosità, induca il bambino a fermarsi e interrompere le sue modalità ripetitive. Inoltre, il terapeuta indaga sui fattori, talvolta plurigenerazionali, che possono essere connessi alla necessità in quel determinato sistema familiare di arrestare il tempo. Ad esempio, l’incapacità ad elaborare un lutto.

Nel libro, Carmine cita diversi personaggi che hanno influenzato il suo pensiero, molti dei quali ha conosciuto personalmente. Tra essi è giusto ricordare Carl Whitaker, con la sua abilità terapeutica nel decentralizzare il paziente psicotico, Jay Haley, visto all’azione come supervisore a Filadelfia, che pure descriveva l’arte di essere nella relazione senza esserci, Edgar Morin, propugnatore della complessità e del pensiero complesso. Ma Deutero confessa che i suoi veri maestri sono stati proprio i sommi sacerdoti e le tantissime persone che ha incontrato in anni di lavoro nelle stanze di terapia, ciascuna portatore di un messaggio che sta all’interlocutore saper cogliere.

Infine, mi piace concludere citando Carmine, che afferma come tra i compiti della missione dei sommi sacerdoti vi sia anche quello di far crescere gli psicoterapeuti “rendendo ridicole l’arroganza, la superbia e l’idea di essere infallibili o addirittura onnipotenti “ (pag. 5).

                                                                                                                                                             Alberto Vito

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