“Che il cielo ti ricompensi del servigio da te reso all'impero,
al pari che a me,
arrestando il corso delle mie crudeli risoluzioni...”
Le mille e una notte
Pensando alla psicoterapia come un processo che si sviluppa in un contesto in cui si incontrano terapeuti e pazienti come organismo, non si può non considerare come tale organismo sia dotato di una mente relazionale che, a partire dalle cristallizzazioni del pensiero che caratterizzano il dolore psichico, tende a esprimere la sua capacità di pensare.
Questo processo, che mette a confronto parti diverse e spesso contrastanti all’interno dello stesso organismo può essere descritto in forma metaforica con una favola.
Le favole contengono spesso rappresentazioni mitiche delle coppie dicotomiche attraverso le quali si rappresentano i valori culturali, soprattutto quella buono-cattivo, e anche la vicenda di Shaharazad esprime questa contrapposizione dal momento che rappresenta il modo in cui la saggezza di una donna riscatta la perfidia di un'altra salvando un intero popolo.
Il percorso che conduce alla salvezza passa attraverso la consolazione del re, reso pazzo dal dolore e assetato di vendetta dal tradimento che gli ha inferto la sultana delle Indie, sua moglie: la sua terribile ferita deve essere curata perché possa cessare la strage delle giovani che egli fa giustiziare dal suo visir il mattino successivo alla prima, e unica, notte di matrimonio trascorsa con ciascuna di loro.
Il percorso di cura, che dura mille e una notte, è la storia della paziente e continuata narrazione con cui Shaharazad incuriosisce e poi avvince il sultano Shahriyan, disciogliendo al contempo il blocco emozionale di cui era vittima e conducendolo alla trasformazione del modello relazionale che dal blocco era scaturito, per cui le verrà dato ascolto e risparmiata la vita fino a che non diventerà addirittura la nuova sultana.
La giovane figlia del visir “era ornata di una perfetta bellezza e di una vera virtù” ed inoltre “aveva molto letto ed era di una memoria tanto prodigiosa che non s'era dimenticata di cosa alcuna. Aveva studiato con frutto la filosofia, la medicina, la storia, le belle arti, e componeva versi meglio che i più celebri poeti del suo tempo”.
Il coraggioso tentativo di Shaharazad di curare il suo signore, dal quale il visir suo padre cerca in tutti i modi di distoglierla, è dunque il frutto della saggezza acquisita attraverso questi studi e la speranza che la ragazza nutre di poter riuscire nel proprio intento riposa sulla consapevolezza della presenza nella crisi del sultano di valenze costruttive che potranno condurlo a nuove possibilità di rapporto.
La storia di Shaharazad, che da un certo punto di vista altro non è che un pretesto per l'assemblaggio di banali racconti popolari dell'India, dell'Iraq, della Persia e dell'Egitto, da questo punto di vista è una metafora complessa in cui è riposta peraltro la fortuna del romanzo.
Le mille e una notte, infatti, arrivato in Europa nei primi anni del XVIII secolo in una traduzione del Galland, incontra grandissimo successo di pubblico in relazione al gusto dell'epoca per le "turcherie" e per i racconti popolari (la sua prima diffusione è contemporanea a quella delle favole dei fratelli Grimm), ma viene considerata un'opera di scarso rilievo nel senso della letteratura perché manca di un impianto intellettuale: la struttura è popolare, l'ambiente tipico è il suq, la tipologia dei personaggi varia da gente comune, a ricchi mercanti o fieri nobili, mai intellettuali, al più si incontrano figure di maestri che si esprimono attraverso frasi coraniche.
Bisognerà aspettare i tempi moderni, in cui il romanzo abbandona gli eroi per porre al centro dell'attenzione "le trame di realtà" a costituire il nuovo e il meraviglioso e in cui lo sviluppo della vicenda è dato dai personaggi, non più isolati dalle loro relazioni[1], perché sia comprensibile il valore metaforico della contrapposizione del quotidiano al magico e perché Le mille e una notte diventi un simbolo.
Le mille e una notte dunque è una metafora, uno strumento linguistico, mentale e comunicativo fondante del rapporto dell'essere umano con l'ambiente, attraverso la quale viene descritto lo strumento usato da Shaharazad come presupposto del “ciò che cura”[2].
Le storie narrate dalla ragazza rappresentano una trasformazione delle istanze aggressive in spazio mentale e la caratteristica insatura della rete di significazione che queste storie assumono, terminando all'arrivo del nuovo giorno senza mai essere concluse, è ciò che tiene viva la curiosità del sultano allo sviluppo di nuovi temi e lo salva dal crimine.
In sostanza, Shaharazad invece di nascondersi, di proteggersi, va incontro al pericolo e con la fantasia costruisce una difesa più efficace: l'utilizzazione della favola le consente di calarsi nella crisi e, attraverso la verbalizzazione di pensiero e immaginazione, di promuovere la modificazione dell'atteggiamento fantastico, permettendo al sultano un maggior contatto con la sua emotività invece di dargli l'agito come unica possibilità di sfogo al dolore[3].
Attraverso la narrazione della favola, la giovane conduce Shahriyan al passaggio dall'equivalenza simbolica[4], in cui la slealtà della sultana è la slealtà di tutto il genere femminile che deve pertanto essere punito con la morte, alla possibilità di rappresentazione simbolica data dalla trama narrativa, in cui vi sono uomini e donne e castighi e vendette mentalizzati.
Il lavoro di simbolizzazione che Shaharazad promuove può essere letto come un'esperienza di apprendimento di come stare in rapporto che la ragazza fornisce al sultano, un'area intermedia dell'esperienza, transizionale, in cui la struttura fantastica e i canoni narrativi di essa sono lo strumento per creare il legame trasformativo: Shaharazad rappresenta il punto di vista cognitivo a partire dal quale si crea un metacontesto in cui liberare e collocare l'illogicità del pensiero fantastico altrimenti agito[5].
La vicenda di Shaharazad è allora una metafora dei luoghi della trasformazione in trame simboliche del mondo interno delle persone coinvolte, luoghi dove la storia non è ridotta a cronaca, ma si presentifica come trama di significazione di cui si era persa la consapevolezza, come sviluppo di temi di lunga durata di cui le dinamiche attuali sono espressione, luoghi in cui la storia viene narrata e, attraverso la narrazione, riscritta diventando matrice di costruzione del Sé.
La chiave di lettura dei fenomeni esperienziali del processo di costruzione del Sé è dunque nel concetto di trasformazione per il quale è possibile osservare e recuperare lo scarto tra il mondo reale e il mondo fantasmatico, trasformazione che si compie grazie alla funzione regolativa esercitata dal rapporto con l'altro.
Questo modello mi sembra riferibile anche alla psicoterapia vista come percorso di traformazione, in cui la narrazione si connota come strumento privilegiato per la rappresentazione del processo di elaborazione ed integrazione di esperienze, vissuti ed emozioni, che riguarda la costituzione di un nuovo universo di oggetti concettuali rappresentanti il nesso tra la realtà esterna e il mondo interno.
La narrazione in psicoterapia dell'esperienza vissuta segue dunque le linee di una sorta di riorganizzazione, poiché la storia narrata non risponde a criteri cronologici o cronachistici, ma è funzione della descrizione del percorso di costruzione e condivisione di una rappresentazione del mondo.
La psicoterapia è in questo senso il luogo di trasformazione attraverso il quale, in una logica riorganizzativa dell'esperienza, può prendere forma nuova ciò che già esisteva[6].
La psicoterapia, come la camera del sultano ne Le mille e una notte è una sorta di contenitore, un libro metaforico in cui si scrive una storia di trasformazione delle emozioni in pensiero.
[1] Cigoli, V., Dalla verifica al confronto. Ruoli narrativi, intreccio, processo di modificazione e protezione, in “Terapia familiare” 31, novembre 1989.
[2] Cigoli, V., Scatti, A.; La svolta e lo scarto. Per un'analisi della funzione comunicativa della metafora in consultazione familiare, in “Terapia familiare” 40, novembre 1992.
[3] Montinari, G.; La fantasia come strumento relazionale, in “Terapia familiare” 13, giugno 1983.
[4] Segal, H.; Casi clinici, Il pensiero scientifico editore, Roma,1980.
[5] Montinari, G., La Fantasia cit.
[6] Ibidem.