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Baghdad

USMarineTankinBaghdad“Lentamente, e a fatica, ho ricostruito a memoria e steso... il manoscritto... per un esule significa strappare il bavaglio dell'incomunicabilità, fonte di diffidenza, di isolamento o di avversione; per il poeta e per il narratore farsi mediatore della coscienza. È come far breccia in una parete, attraverso la quale filtri la luce che annuncia il cielo, io spero, della libertà”.

T. Laitef, Lontano da Baghdad, Sensibili alle foglie, Roma, 1984.

Baghdad è il luogo dove avrei voluto trovarmi il giorno in cui concludevo il primo livello del percorso di formazione che mi ha portato fino a questo post come didatta della Scuola Romana: a Baghdad, luogo dell'immaginario fantastico già dall'infanzia, piuttosto che seduta sulla "sedia calda" a sostenere il colloquio finale, parlando di Bowen e del processo di differenziazione.

Il professor Saccu mi metteva in guardia con la sua aria sorniona dai pericoli che si incontrano in quei luoghi del vicino Oriente, sempre focolaio di guerre sante, di religione, di razza e di interessi in­ternazionali per il petrolio.

E Baghdad è stato anche il nome del gruppo di training dove ho compiuto il successivo livello di formazione, in un percorso di apprendimento di trasformazione delle emozioni in pensiero che è isomorfo al processo di apprendimento che si sviluppa attraverso la psicoterapia.

E infatti, la prosecuzione di quel percorso allora appena cominciato mi ha condotto a passare attraverso tutti i pericoli, le paure, i disorientamenti che accompagnano l’apprendimento di un nuovo modo di vedere il mondo e la vita.

Ma ha anche rappresentato un’esperienza di liberazione e rinascita, puntuale ma anche continua e permanente.

Si è trattato di un percorso che ha comportato una svolta epistemologica, prima ancora che metodologica, e per questo ha richiesto il riferimento a nuovi paradigmi, a nuove grammatiche della realtà che hanno contribuito a qualificare un modo nuovo di attribuzione di significato ai fenomeni che emergono nei diversi contesti.[1]

Si tratta di un percorso che produce una dinamica di discontinuità significativa, che coincide con una vera e propria crisi, proprio come quella che ci portano i nostri pazienti o troviamo nei contesti di lavoro in cui siamo chiamati a operare, una crisi cui la dimensione dell’apprendimento rende un valore evolutivo.

L’apprendimento perciò è qui inteso nel senso più generale come un processo naturale, che si sviluppa a partire dalle esperienze, perché per vivere le varie esperienze si attivano processi psichici (motivazione, attenzione, memoria, problem solving, metacognizione) che vanno integrati da operazioni cognitive legate allo sviluppo affettivo (osservazione, imitazione,monitoraggio metacognitivo, regolazione delle emozioni).

Comincio da qui allora, proprio dal principio, a riflettere, con la speranza di condividere la riflessione, sulla complessità di un approccio come quello sistemico che trasforma la mente[2], un approccio ecologico applicabile a tutto campo dal pensiero comune, alla stanza di terapia, alla dimensione delle istituzioni, delle aziende, alle coppie, alle famiglie, agli individui che sostiene un visione organismica delle cose.

Ogni cosa da questo punto di vista dunque può essere guardata come un organismo, come un’entità dotata di un’organizzazione interna di funzioni e strutture ordinate sia in una dimensione gerarchica, sia in una dimensione di rete[3] , la cui complessità è funzione della quantità delle componenti che integra, in cui il processo di comunicazione, la trasmissione dell’informazione, avviene lungo i canali comunicativi che collegano tra loro gli elementi componenti, i cui confini non sono dati una volta per tutte, ma possono di volta in volta ampliarsi o convergere in spazi meno ampi in relazione.

 


[1] Bateson, Verso un’ecologia della mente, Ubaldini, 1977

[2] Morin,E.; La testa ben fatta, Cortina, Milano, 2000

[3] Miller,J.G.; La teoria generale dei sistemi viventi, FrancoAngeli, Milano, 1971

 

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